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TRASCRIZIONE DELL'INTERVISTA
La Capsulite adesiva
Intervista al Dr. Francesco Inglese
Ciao
Francesco e benvenuto, anzi, bentornato a FisioPodcast. È sempre un
piacere averti qui a fare chiarezza su argomenti interessanti.
Infatti, oggi parliamo di una patologia molto discussa ultimamente
sui social, che è la capsulite adesiva, una problematica molto
dolorosa e limitante che so per certo starti molto a cuore.
Ciao Alessandro, un caro saluto, ti
ringrazio per questa nuova intervista. Ho saputo con piacere che la
prima, riguardante le patologie legate all'instabilità di spalla,
è stata seguita da diversi colleghi. Spero anche che sia piaciuta e
che sia servita a far luce su una patologia molto frequente che
riguarda l'instabilità di spalla. Oggi, insieme a te, volevo
affrontare questo nuovo argomento, sempre riguardante le patologie
ortopediche della spalla, che vede appunto la capsulite
adesiva come tema del nostro incontro, della nostra
conversazione. Perché abbiamo scelto la capsulite adesiva?
Sicuramente perché sia l'instabilità che la capsulite adesiva
riguardano lo stesso tessuto anatomico, in questo caso la struttura
capsulo-legamentosa. Per quanto riguarda l'instabilità abbiamo
una struttura molto elastica, che favorisce movimenti eccessivamente
ampi, mentre nella capsulite adesiva questa struttura anatomica, dopo
una infiammazione che ne produce un ispessimento, limita enormemente
il movimento su tutti i piani. Quindi, affrontiamo la capsulite
proprio perché è legata a una patologia dello stesso tessuto che
favorisce l'instabilità.
Bene,
quindi, veniamo subito al sodo. Che cos'è la capsulite adesiva?
Come dice la parola, capsulite
adesiva è sicuramente un’infiammazione della
capsula. Questa infiammazione, per motivi ancora non noti, quindi
su base idiopatica, che cosa favorisce? Favorisce una proliferativa
sinovite ipervascolare, con formazione cicatriziale. Quindi la
capsula a un certo punto si infiamma, si ispessisce e perde il suo
volume capsulare, limitando sia il movimento passivo che quello
attivo su tutti i piani. Quindi diciamo che la caratteristica di
questa patologia è proprio la perdita del movimento. Questa
perdita, ovviamente, può essere di pochi gradi o di molti gradi.
però la caratteristica che accomuna tutti i pazienti è che la
perdita interessa tutti i movimenti. Magari più l'intra e meno
l'extra, oppure più l'anteposizione meno l'estensione. Comunque sia,
tutti i movimenti sono coinvolti da questa perdita di elasticità.
Questo
termine, capsulite adesiva, è una cosa recente o ha una sua storia?
Il
primo autore, diciamo il primo medico, che parla di capsulite adesiva
è Codman, che nel 1934 conia questo termine. Successivamente altri
autori, come Neviaser nel 1945, identifica effettivamente la
struttura responsabile, osservando una sinovite e un ispessimento
della capsula articolare. Mentre Reeves, successivamente,
distingue due grandi famiglie di rigidità tissutali: la spalla
congelata come capsulite adesiva primaria (detta anche Frozen
shoulder) mentre la spalla rigida post-traumatica è
una rigidità secondaria a un evento traumatico. Di eventi traumatici
ce ne possono essere tantissimi. Immaginiamo solamente che il 10-20%
dei pazienti che si operano alla spalla per altre patologie (per dire
frattura scomposta di trochite, lussazione di terzo grado
acromion-claveare, lesione a tutto spessore del tendine del
Sovraspinoso eccetera eccetera), tutti questi pazienti che
hanno ovviamente un sanguinamento legato all'intervento, e quindi una
successiva immobilizzazione per favorire la cicatrizzazione
dei tessuti, una percentuale di questi pazienti può andare incontro
a una limitazione del movimento da causa tissutale. Quindi abbiamo
due grandi famiglie di rigidità da causa tissutale: quelli che si
bloccano dal nulla e quelli che invece si bloccano per un motivo
concreto, riconosciuto.
Come
si effettua la valutazione e quindi la diagnosi?
La
diagnosi della capsulite adesiva è prevalentemente clinica, infatti
gli esami strumentali sono spesso negativi e sono utili per escludere
altre patologie associate. Per esempio è importante richiedere le
radiografie su tre proiezioni: antero-posteriore, ascellare e Y di
Neer, per avere una visione a 360 gradi delle strutture ossee, e
quindi della rima articolare, l'integrità sia della glena sia della
testa, che ci fa capire che la limitazione su più piani del
movimento non è da causa meccanica, non c'è una artrite reumatoide,
una condrocalcinosi. una osteocondromatosi o una semplice artrosi
eccentrica o concentrica gleno-omerale. Quindi noi, dalla
radiografia, diciamo che non c'è un motivo meccanico a questa
perdita di mobilità. Ecco che la perdita di mobilità viene
ricondotta a una causa tissutale, a una perdita di elasticità dei
tessuti, e quindi la radiografia è importante per escludere altre
patologie associate. Dopodiché possiamo richiedere una risonanza
magnetica, che può farci vedere le strutture tendinee ed escludere
la presenza associata di una lesione, parziale o totale, di
uno dei tendini della cuffia dei rotatori. Una cosa che può
essere notata nella risonanza magnetica è la perdita del volume
della parte inferiore della capsula articolare, le cui superfici sono
più vicine, e quindi la risonanza esclude patologie associate
tendinee e può evidenziare una perdita del volume capsulare. Invece
l'aspetto clinico è molto rilevante perché di fronte a noi si
presenta un paziente che, pur non avendo nulla a livello osseo, pur
non avendo nulla a livello tendineo, presenta una perdita di mobilità
su tutti i piani dello spazio. Questa perdita di mobilità è insorta
in un periodo lungo di evoluzione, cioè è comparso prima un dolore,
poi questo dolore nell'arco dei mesi ha portato a una perdita del ROM
passivo (e conseguentemente attivo), e manifesta soprattutto un
dolore che tende ad irradiarsi verso il gomito e in molte occasioni,
in molti pazienti, arriva fino alla mano. Noi sappiamo che nessuna
patologia della spalla, eccetto la capsulite, tende a dare un dolore
così persistente, fastidioso, che s'irradia lungo il braccio.
Infatti sappiamo che la tendinite del sovraspinato in genere irradia
nella zona dell'inserzione dei fasci medi del deltoide; sappiamo che
l’osteolisi acromion-claveare irradia verso il tratto cervicale;
sappiamo che la tendinite del capo lungo del bicipite irradia
anteriormente e a volte raggiunge il gomito, ma non è così
frequente; la tendinite del sottoscapolare è legata a un
dolore anteriore, non irradiato. Quindi, quando di fronte a noi ci si
presenta un paziente che ha una perdita su tutti i piani dello
spazio, con una RX negativa, una risonanza magnetica negativa per
patologie tendinee (che comunque non limiterebbero il movimento
passivo, questo è ovviamente da dire) quando il paziente lamenta un
dolore intenso che si irradia lungo il braccio, molto probabilmente
questo paziente ha una capsulite adesiva. Ovvio che poi abbineremo i
test legati alla valutazione della cuffia dei rotatori; ovvio che poi
valuteremo sia la mobilità passiva in stazione eretta sia in
decubito supino, per avere come riferimento il piano d'appoggio del
lettino e vedere la differenza che c'è tra un braccio e l'altro.
Quindi diciamo che l'aspetto legato alla valutazione è un aspetto
prevalentemente clinico, osservazionale, legato all'anamnesi (cioè
quello che riferisce il paziente) e che gli esami strumentali possono
aiutarci per escludere patologie associate.
Quali
sono i pazienti maggiormente colpiti da questa patologia?
La
forma primaria della capsulite adesiva colpisce prevalentemente le
donne in un arco di età che va tra i 40-45 e i 55-65 anni.
Ovviamente anche gli uomini possono essere interessati dalla frozen
shoulder ma la percentuale maggiore è a carico delle donne.
Dopodiché ci sono altre categorie a rischio: per esempio i pazienti
che hanno il diabete insulino dipendente, i pazienti con
patologie tiroidee, i pazienti che hanno delle dislipidemie
o che assumono farmaci antiepilettici. Poi, nella mia
esperienza ovviamente, posso indicare anche un'altra caratteristica
molto importante: un'alta percentuale di pazienti, parlando durante
il trattamento, riferisce forti stress emotivi che hanno
preceduto l'insorgenza della rigidità. Ovvio che scientificamente
questo forse non potrà mai essere dimostrato ma a mio avviso c'è
una forte relazione tra gli stress emotivi e l'inizio della rigidità
di spalla. Questo, sicuramente, ripeto, è difficile da spiegare ma
molti pazienti dicono che prima dell'insorgenza hanno avuto, per
dire, la perdita di una persona cara e questa perdita ha portato un
periodo molto stressante emotivamente. Quindi ci sono tante cose che
il paziente riferisce, che non è lo stress banale della quotidianità
ma sicuramente è un qualcosa di molto più importante. E, se devo
dirti in tutta onestà, questa percentuale di pazienti si aggira tra
il 60 e l’80% quindi quando il paziente chiede “ma perché mi
è venuta questa capsulite?” io ovviamente
comincio ad elencare tutti i possibili fattori che la favoriscono e
quindi dico il diabete, la tiroide, i problemi dei farmaci
antiepilettici, le dislipidemie. Loro scuotono la testa dicendo
“no, io non rientro in nessuna di queste categorie”. Quando
poi dico “a volte è causata da stress emotivi” alcuni di
loro si mettono a piangere all'istante e riferiscono che tutto è
iniziato dopo un forte stress, come la perdita di una persona cara,
quindi un lutto. Quindi, scientificamente non lo possiamo dimostrare
ma c'è una forte correlazione. Poi mi viene un altra cosa da
pensare: la capsulite adesiva non esiste in nessuna articolazione del
corpo eccetto la spalla; cioè noi possiamo avere un trauma al
ginocchio e questo ginocchio dopo essere stato immobilizzato si può
irrigidire, ma questa è una rigidità secondaria. Non c'è nessuna
articolazione che dal nulla s'irrigidisce, eccetto la spalla. Guarda
a caso c'è un detto che è “porta il peso del mondo sulle
spalle” e non è “porta il peso del mondo sulla caviglia”,
“porta il peso del mondo sul ginocchio”, “porto il peso del
mondo sull'anca”. Probabilmente questo detto, che è una
credenza popolare e quindi non scientifico, ha un fondo di verità.
Guarda a caso, solo la spalla è interessata dalla capsulite
primaria.
So
che la capsulite ha una sua evoluzione, quindi, ci puoi descrivere
come evolve? Ci sono delle fasi che la differenziano?
La
forma primaria di questa patologia si caratterizza di tre fasi:
- la prima fase ha una durata che può andare da un minimo di 2 a un massimo di 9 mesi. In questa fase il paziente inizia ad avvertire i primi segni del dolore. Questo dolore inizialmente non lo preoccupa però, man mano che passano i mesi, questo dolore può essere più o meno intenso, può disturbare il sonno notturno e, soprattutto, non passa mai. Quindi il paziente inizia piano piano a preoccuparsi.
- la fase due inizia nel momento in cui il paziente tende a perdere qualche grado di mobilità. Questi gradi di mobilità possono essere da pochi a molti e la fase ha una durata che va da un minimo di 3 a un massimo di 12 mesi. In questa fase il paziente è maggiormente preoccupato perché il dolore è più intenso e in più si abbina al dolore la perdita del movimento. E quindi, ovviamente, a livello funzionale nota una grave difficoltà nei movimenti. Se avvengono dei movimenti inavvertiti, bruschi, come per dire... inciampo, mi sta per cadere un oggetto o chiudo lo sportello della macchina bruscamente, si abbina a questi movimenti bruschi un dolore molto intenso, che si irradia lungo tutto il braccio e che per alcuni secondi lascia il paziente tramortito. In questa fase c'è ancora un processo infiammatorio. Ecco che il dolore è intenso perché è giustificato dall’infiammazione della capsula articolare.
- nella terza fase il dolore diminuisce ma in alcuni pazienti può rimanere la perdita del movimento. Ecco che molti colleghi o medici dicono che la capsulite adesiva si risolve spontaneamente. Certo, la capsulite adesiva si risolve, quindi per quanto riguarda l'aspetto del processo infiammatorio in fase 3 non c'è più l'infiammazione della capsula. Quello che invece può rimanere, come complicanza dell'infiammazione capsulare, è la perdita del movimento. Quindi la perdita del movimento è la conseguenza dell'infiammazione della capsula, non la patologia stessa, perché la patologia si è in realtà risolta. Ecco che molti pazienti che arrivano magari nello studio in fase 2, e che noi riconosciamo che hanno una capsulite, possono dirci “ma sì, mi hai raccontato che ci sono queste tre fasi ma devo per forza arrivare alla terza? Non possiamo fermarla prima?”. E ovviamente io spiego che una volta che inizia la fase uno, che è l'inizio dell'infiammazione, conseguentemente c'è la fase 2, che è la perdita di questa elasticità; e di conseguenza c'è la fase 3, che è la fine dell'infiammazione. È come l'influenza: il paziente ha una semplice influenza, inizierà con qualche brivido, qualche linea di febbre, poi avrà un picco e poi l’influenza passerà. E quindi la fase 3 si abbina alla risoluzione dell’infiammazione. Molti pazienti, però, hanno una perdita di mobilità importante, di parecchi gradi, alcuni anche fino a 120 gradi di perdita dell'elevazione anteriore (che ricordiamo essere di 180 gradi). Quindi non riescono ad alzare il braccio nemmeno al di sopra della spalla e questa limitazione complica tutte le attività della vita quotidiana, dal vestirsi, a lavarsi, al mangiare e quindi sicuramente il paziente è molto preoccupato della situazione. Mentre nella fase 2 è il dolore che sovrasta la perdita della mobilità, quindi il paziente è più preoccupato del dolore, nella fase 3 (se rimane la rigidità, perché a volte si può autorisolvere se la capsulite non è molto violenta) se rimane la rigidità, prevale il disturbo funzionale. Ecco che noi possiamo riconoscere la fase 2 dalla fase 3 da diverse caratteristiche. La prima di queste è la diminuzione del dolore e invece la presenza maggiore del disturbo della rigidità. Poi, l'altra caratteristica per cui distinguiamo la fase 2 dalla fase 3, è la tempistica. Raramente ho visto pazienti in fase 3 prima dei sei mesi dall’insorgenza del primo sintomo doloroso. Infatti, se andiamo a vedere la prima fase può durare un minimo di due mesi, la seconda fase dura un minimo di tre, quindi la somma già fa cinque mesi. Ecco perché per arrivare in fase 3, a volte devono passare più di cinque mesi. È una patologia molto lunga dal punto di vista della sintomatologia, però un aspetto positivo è che si risolve. Quindi, sicuramente, il paziente che ha una capsulite adesiva arriverà a risolvere il dolore in primo luogo, e a recuperare completamente la mobilità limitata da questa infiammazione.
Facciamo
una piccola parentesi, diciamo, di EBM. Esistono delle linee guida
per la cura e il trattamento della capsulite adesiva?
Allora, sicuramente non esistono
delle linee guida univoche sul trattamento per risolvere una
capsulite adesiva primaria. Io ho letto le più recenti linee guida,
che risalgono al 2018, e ci sono molte situazioni contrastanti. Si
parla di tutto e di più. Ovviamente, anche nelle discussioni coi
colleghi o nei vari congressi, emerge quest'aspetto. Facciamo, per
esempio, delle considerazioni relative ad altre patologie. Se
prendiamo un paziente di 55 anni, che ha una risonanza magnetica
positiva per lesione a tutto spessore del tendine del Sovraspinoso,
soggetto quindi giovane, che deve compiere ancora dei lavori pesanti.
Ha un dolore refrattario al trattamento riabilitativo, magari è
stato fatto di tutto e questo dolore non è passato. Il consiglio
dell'ortopedico, di tutti gli ortopedici, è quello di fare un
intervento in artroscopia per la sutura di questo tendine. Se abbiamo
un paziente, invece di 70-75 anni, che ha una grave artrosi
eccentrica, con forti dolori che non passano con nulla e perdita
della funzionalità molto importante, l'indicazione di tutti gli
ortopedici (quindi ci sono delle linee guida comuni) è quella di
fare una protesi inversa. Se invece prendiamo un paziente che in
realtà non ha nulla, perché ha delle radiografie negative, una
risonanza magnetica negativa, ha solo una perdita di mobilità su
tutti i piani, invalidante e dolorosa, qui per qualcosa di meno grave
(perché a livello di esami strumentali non c'è niente di
significativo) ci complichiamo la vita. Perché c'è un medico che
magari dice “fai del cortisone per bocca per 2 3 settimane”,
l'altro che fa le infiltrazioni di cortisone endoarticolari. Poi c'è
chi propone il cateterino a permanenza, c'è chi dice di fare degli
esercizi di autoallungamento, quindi domiciliari; c'è chi dice “va
in piscina a fare dei movimenti in acqua”, c'è chi fa delle
mobilizzazioni passive più o meno dolorose, c'è chi dice
addirittura “aspetta che ti passi”. Quindi vediamo che
nell'ambito della capsulite adesiva primaria non troveremo mai, a mio
avviso, un accordo, una linea guida univoca. Perché? Perché è la
stessa patologia che può avere forme più o meno gravi e può andare
dalla autorisoluzione alla grande rigidità. Quindi, immaginate una
capsulite che va verso l’autorisoluzione: noi magari gli facciamo
una terapia fisica (questa patologia si risolveva da sola nell'arco
di diversi mesi) e attribuiamo a quella terapia fisica il risultato
positivo. Oppure facciamo un altro approccio terapeutico, la
patologia tendeva ad autorisolversi spontaneamente nel corso di mesi,
e quindi attribuiamo il vantaggio a quell’approccio terapeutico.
Quindi ci sarà sempre un po' di discussione, dibattito per quanto
riguarda l'approccio riabilitativo a questa patologia. L'unica cosa
che ci accomuna, che ci rende tutti d'accordo, è che sicuramente è
dolorosa, molto lunga nella risoluzione, invalidante se c'è una
grave perdita di ROM passivo, e il cui recupero è, sì completo, ma
comunque lento.
Quale
strategia consigli tu al paziente che si presenta in studio con
diagnosi di capsulite?
Ovviamente parlo direttamente col
paziente e gli dico “per recuperare questi gradi mancanti di
mobilità, che nel tuo caso sono 90, esistono tre strategie”:
- la prima strategia è rappresentata dagli esercizi di allungamento, da fare quotidianamente a casa, abbinati alle mobilizzazioni passive fatte dal fisioterapista, proprio per vincere la resistenza di questo tessuto che si è retratto.
- il secondo approccio è la mobilizzazione, però previa anestesia di plesso.
- il terzo è l'intervento di artrolisi artroscopico.
Quindi
io metto sul piatto della bilancia questi tre approcci. Ovvio che il
paziente viene da me dopo aver fatto terapie fisiche di tutti i
generi, esercizi, mobilizzazioni più o meno intense e questa
rigidità è ancora presente. Quindi sono passati 8-9-10 mesi e il
paziente non ha risolto. E io gli dico “a mio avviso le tre
strategie più utili sono queste. La prima l'hai già
fatta ma forse magari il collega ha tirato ma non con la dovuta
intensità. Tu hai una resistenza, questa resistenza
deve essere vinta non con un allungamento prolungato (come per
esempio possiamo fare sul muscolo per ridurre l'attivazione dei fusi
neuromuscolari). Quel tessuto che resiste, che è retratto, è la
capsula e quindi non lavoriamo sul tempo d'allungamento ma lavoriamo
sull’intensità dell'allungamento, perché dobbiamo vincere una
resistenza. È come se io dovessi spingere una macchina che ha
finito la benzina. Se mi appoggio dolcemente la macchina rimane lì
per ore, giorni e mesi. Se invece vinco la resistenza della macchina,
ovviamente la macchina si sposta. Quindi questa resistenza capsulare
ha un'intensità che noi dobbiamo vincere con un'intensità superiore
dell'allungamento. Ovviamente queste sedute sono molto dolorose.
Quindi si scalda molto col movimento passivo dolce, inizialmente, e
via via che la spalla è ben calda si può preparare prima con un
panno caldo umido, un termoforo, una terapia con calore, e poi
successivamente passare all'allungamento. Diciamo che questa
strategia può ottenere sicuramente dei buoni risultati, però in
tempi più lunghi e con un dolore più intenso. La seconda strategia
è legata alla mobilizzazione in anestesia di plesso. Io ho iniziato
questa procedura personalmente nel 1999, quindi sono passati
vent'anni e più, e sicuramente ha ottenuto dei grandi vantaggi. Dopo
magari parleremo esclusivamente dello sblocco in anestesia di plesso,
nella successiva domanda. Per il momento l'accenniamo solamente.
Dopodiché c'è l’artrolisi artroscopica. In linea generale, quando
un paziente viene visitato dall'ortopedico e viene diagnosticata una
capsulite adesiva, il medico dice al paziente “ok fai
alcuni mesi di riabilitazione, fino magari a 6-8 mesi. Se
non risolviamo in questo modo facciamo l'intervento artroscopico di
artrolisi.” Ovviamente, a mio avviso, da fare un trattamento
conservativo che non ottiene risultati a fare un intervento
chirurgico, c'è un passo troppo lungo. Sicuramente la procedura di
mobilizzazione in anestesia di plesso è una tappa intermedia che
porta a buoni risultati e che può scongiurare l'intervento
chirurgico, che comunque sia, se il secondo step legato alla
mobilitazione in anestesia di plesso non ottiene dei risultati,
l'intervento è sempre lì a disposizione, per cercare di risolvere
quella spalla particolarmente difficile.
Ecco,
parliamo proprio di questa procedura un po' controversa, che è la
mobilizzazione in anestesia di plesso. Tu la consigli?
La
mia esperienza diretta sulla mobilizzazione in anestesia di plesso è
un'esperienza molto positiva, perché mi ha consentito di risolvere
delle capsuliti veramente gravi, con perdite di mobilità superiori
ai 100 gradi di anteposizione, con extrarotazioni a -10, -15 gradi,
con intrarotazioni che non arrivavano neanche al gran trocantere,
quindi braccio praticamente lungo il fianco. Questi pazienti avevano
già effettuato vari mesi di terapie fisiche, terapie farmacologiche,
infiltrazioni, alcuni di loro fino a 11 infiltrazioni senza ottenere
alcun risultato sul recupero della mobilità. Consideriamo sempre il
fatto che il dolore diminuisce perché la patologia va nella
direzione di un recupero dell'infiammazione, quindi l'infiammazione
si attenua, indipendentemente da quello che noi facciamo, quindi il
paziente arriverà a un punto che avrà meno dolore ma potrà avere
una limitazione importante del movimento. Quindi, come recuperare
questo movimento? Se il paziente ha fatto tantissime procedure e non
ha ottenuto nessun vantaggio, e la perdita di mobilità è molto
consistente, io propongo la mobilizzazione in anestesia di plesso.
Ovvio che ci sono dei criteri di inclusione:
- dobbiamo avere dei pazienti non molto adulti, perché non dobbiamo avere associazioni di osteoporosi
- dobbiamo avere dei pazienti che hanno una capsulite primaria in fase 3, perché lo sblocco in anestesia non può essere fatto in una fase 2, dove presenta ancora l'infiammazione. L'infiammazione verrebbe accentuata da una procedura eccessivamente cruenta, quindi noi dobbiamo essere super sicuri che il paziente sia in fase 3.
Dopodiché,
la procedura offre sicuramente dei vantaggi importantissimi. Voi
considerate il fatto che una grave rigidità di spalla recupera circa
5-10 gradi di movimento con delle terapie di mobilizzazione in
assenza di anestesia. Quindi se noi abbiamo un paziente che ha 90
gradi mancanti di mobilità passiva, avremo una proiezione sul suo
recupero che va da 9 a 18 mesi. Se invece lo stesso paziente effettua
una mobilizzazione in anestesia di plesso, seguita da un percorso
riabilitativo, lo stesso paziente può recuperare il completo ROM di
movimento passivo in un arco di tempo che va da 35 giorni a 90 giorni
successivi alla mobilizzazione in anestesia di plesso. Quindi abbiamo
un importante vantaggio nell'ambito della tempistica e del recupero.
È come se due persone partissero oggi per arrivare ad una meta e uno
arriva 6-9 mesi dopo, mentre l'altro arriva in anticipo. Quindi non
stiamo certo facendo una gara ma sicuramente il paziente, che è già
stremato da una lunga patologia, che finalmente arriva in fase 3, non
vede l'ora di risolverla, e risolverla in tempi più brevi è
sicuramente un vantaggio. Ovvio che questa procedura offre dei
rischi. Ha dei vantaggi ma al tempo stesso ha dei rischi. Sono stati
citati, non diciamo non riguardano me personalmente, dei casi di
frattura del collo chirurgico dell'omero, dei casi di lussazione
gleno-omerale provocata dalla manovra, dei casi di rotture tendinee
del sottoscapolare oppure di avulsione del cercine antero-inferiore.
Quindi, sicuramente è una procedura che non può essere fatta così,
senza aver acquisito un'esperienza diretta. Poi questa procedura ha
una precisa evoluzione, cioè i movimenti devono essere effettuati in
una logica di progressione. In generale inizia con l'allungamento
della porzione posteriore della capsula articolare, attraverso il
movimento di adduzione e di rotazione interna per poi, dopo aver
fatto diversi movimenti, finire con il movimento di extrarotazione a
braccio addotto. Questo perché? Perché la capsula posteriore ha uno
spessore che è la metà della capsula anteriore. La capsula
anteriore è il doppio della capsula posteriore come spessore perché
è inspessita dei legamenti gleno-omerale superiore medio e
inferiore. Quindi noi non dobbiamo andare subito a mettere in
tensione la porzione meno elastica della capsula, che è quella
anteriore. Dobbiamo prima vincere le resistenze della capsula più
“debole”. Quando vinciamo quelle resistenze anche la porzione
anteriore cede più facilmente perché l'articolazione comincia a
fare gioco. E quindi, sicuramente questa procedura fatta in fase 3,
su pazienti che non hanno osteoporosi, su pazienti che non hanno
patologie di cuffia associata, può offrire un notevole vantaggio nel
recupero più rapido e veloce della patologia legata alla rigidità.
Siamo
in fase conclusiva e quindi ti chiedo: hai qualche consiglio per i
pazienti e per i colleghi?
- I consigli che mi sento di dare in primo luogo ai pazienti sono sicuramente: essere nel vero senso della parola “pazienti”, perché questa è una patologia che spesso ha tempi lunghi di risoluzione; ovviamente di scegliere la strada migliore nel recupero di questa elasticità che i tessuti hanno perso. Le strade, come abbiamo detto, sono 3: se c'è una lieve rigidità bastano degli esercizi di auto-allungamento e delle mobilizzazioni passive col fisioterapista; se la rigidità è medio grave la strada più veloce, quando ovviamente ci sono i presupposti (quindi no osteoporosi, no patologie correlate tendinee) sicuramente la strada migliore nelle capsuliti medio gravi, è la mobilizzazione in anestesia di plesso; se invece fallisce questa procedura, che in realtà nella mia esperienza ormai di vent'anni di mobilizzazione in anestesia ha fallito pochissime volte; se dovesse fallire l'ulteriore strada può essere l'artrolisi di distensione oppure l'intervento di artrolisi artroscopica. Questo per quanto riguarda i consigli ai pazienti.
- Invece i consigli ai colleghi fisioterapisti: se ci troviamo di fronte a una capsulite primaria, è importante individuare lo stadio in cui questa capsulite è. Perché se è in uno stadio 2, fare delle terapie che producono calore nel tessuto oppure dolore nelle zone dell'articolazione della spalla come mobilizzazioni intense, oppure onde d'urto, oppure altre terapie che arrecano dolore, può avere un effetto contrario, negativo. Perché gli stimoli dolorosi in fase 2 possono scatenare un’ulteriore infiammazione. Quindi è importante stabilire se la capsulite è primaria o secondaria; se è primaria, in quale fase è. Mai agire in una fase 2. E’ sempre meglio intervenire, avere un po' di pazienza e aspettare, che la capsulite arrivi in stadio 3, che comunque ci arriva perché è una naturale evoluzione della capsulite primaria.
Molto
bene. Un'ultima domanda sulla tua attività formativa. Possiamo dire
senza dubbio che in Italia sei un riferimento assoluto per quanto
riguarda la spalla. Effettui appunto docenza, corsi di formazione
per colleghi che vogliono perfezionarsi nella gestione, nel
trattamento di questa articolazione così complessa. E so che
recentemente hai lanciato un progetto FAD, tra l'altro da 50 crediti
ECM, in cui tratti un po' tutti gli argomenti, tutte le patologie che
normalmente tratti ai tuoi corsi. Dalla capsulite, all'instabilità,
alle patologie di cuffie, alle patologie traumatiche. Ce ne vuoi
parlare?
Certo Alessandro. È da tantissimi
anni che effettuo dei corsi teorici-pratici un po' in giro per
l'Italia, sia in ospedali che in centri di fisioterapia, che
attraverso l'invito di provider. Mi sono trovato di fronte a una
nuova esperienza: questa nuova esperienza che si realizza online, con
un corso accreditato FAD, con l'appunto 50 crediti formativi, dove il
provider mi ha chiesto di argomentare diverse patologie della spalla.
Quindi ho formato sette video didattici. In questi video parlo dei
vari argomenti come le discinesie scapolo-toraciche, oppure la spalla
dell'atleta; oppure quelle che tu hai elencato prima tipo le
patologie tendinee, la capsulite adesiva, l'instabilità traumatica o
l'esame obiettivo. È una nuova esperienza. Spero che questi video
piacciano e che diano spunto per una crescita professionale a tutti
quelli che acquisteranno il pacchetto di video online. Tutti i
colleghi che fossero interessati possono contattare direttamente me
per alcune informazioni oppure il provider che si chiama secer
formazioni, oppure il collega Giuseppe Scalise che si occupa
appunto di promuovere questo corso fad.
Ok,
direi che anche oggi sei stato chiarissimo. Io ti ringrazio per
essere sempre così disponibile a questi interventi e ti aspetto
prossimamente magari per parlare di patologie di cuffia o di
patologie traumatiche.
Ciao Alessandro, sono io che
ringrazio te. Sei stato molto gentile, mi hai nuovamente coinvolto in
un argomento molto interessante che mi sta molto a cuore, come
appunto la capsulite adesiva. Spero di essere stato chiaro e che
queste indicazioni siano servite ai colleghi. Alla prossima
occasione, appunto, per altre discussioni su altre patologie della
spalla ortopedicaIntro & outro Music by Alex Anceschi
music: http://www.purple-planet.com
+++ Questo podcast non incita all'autotrattamento e all'autodiagnosi. Per le problematiche descritte negli episodi a seguire consultate sempre il vostro medico o un professionista+++
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