lunedì 8 luglio 2019

FisioPodcast-16-La capsulite adesiva, intervista a Francesco Inglese

Ascolta "FisioPodcast - Parliamo di Fisioterapia" su Spreaker.Oggi abbiamo un gradito ritorno. Il Dr Francesco Inglese ci parlerà della Capsulite adesiva o spalla congelata. Un appuntamento immancabile. Buon Ascolto

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TRASCRIZIONE DELL'INTERVISTA

La Capsulite adesiva
Intervista al Dr. Francesco Inglese

Ciao Francesco e benvenuto, anzi, bentornato a FisioPodcast. È sempre un piacere averti qui a fare chiarezza su argomenti interessanti. Infatti, oggi parliamo di una patologia molto discussa ultimamente sui social, che è la capsulite adesiva, una problematica molto dolorosa e limitante che so per certo starti molto a cuore.
  Ciao Alessandro, un caro saluto, ti ringrazio per questa nuova intervista. Ho saputo con piacere che la prima, riguardante le patologie legate all'instabilità di spalla, è stata seguita da diversi colleghi. Spero anche che sia piaciuta e che sia servita a far luce su una patologia molto frequente che riguarda l'instabilità di spalla. Oggi, insieme a te, volevo affrontare questo nuovo argomento, sempre riguardante le patologie ortopediche della spalla, che vede appunto la capsulite adesiva come tema del nostro incontro, della nostra conversazione. Perché abbiamo scelto la capsulite adesiva? Sicuramente perché sia l'instabilità che la capsulite adesiva riguardano lo stesso tessuto anatomico, in questo caso la struttura capsulo-legamentosa. Per quanto riguarda l'instabilità abbiamo una struttura molto elastica, che favorisce movimenti eccessivamente ampi, mentre nella capsulite adesiva questa struttura anatomica, dopo una infiammazione che ne produce un ispessimento, limita enormemente il movimento su tutti i piani. Quindi, affrontiamo la capsulite proprio perché è legata a una patologia dello stesso tessuto che favorisce l'instabilità.

Bene, quindi, veniamo subito al sodo. Che cos'è la capsulite adesiva?
  Come dice la parola, capsulite adesiva è sicuramente un’infiammazione della capsula. Questa infiammazione, per motivi ancora non noti, quindi su base idiopatica, che cosa favorisce? Favorisce una proliferativa sinovite ipervascolare, con formazione cicatriziale. Quindi la capsula a un certo punto si infiamma, si ispessisce e perde il suo volume capsulare, limitando sia il movimento passivo che quello attivo su tutti i piani. Quindi diciamo che la caratteristica di questa patologia è proprio la perdita del movimento. Questa perdita, ovviamente, può essere di pochi gradi o di molti gradi. però la caratteristica che accomuna tutti i pazienti è che la perdita interessa tutti i movimenti. Magari più l'intra e meno l'extra, oppure più l'anteposizione meno l'estensione. Comunque sia, tutti i movimenti sono coinvolti da questa perdita di elasticità.

Questo termine, capsulite adesiva, è una cosa recente o ha una sua storia?
  Il primo autore, diciamo il primo medico, che parla di capsulite adesiva è Codman, che nel 1934 conia questo termine. Successivamente altri autori, come Neviaser nel 1945, identifica effettivamente la struttura responsabile, osservando una sinovite e un ispessimento della capsula articolare. Mentre Reeves, successivamente, distingue due grandi famiglie di rigidità tissutali: la spalla congelata come capsulite adesiva primaria (detta anche Frozen shoulder) mentre la spalla rigida post-traumatica è una rigidità secondaria a un evento traumatico. Di eventi traumatici ce ne possono essere tantissimi. Immaginiamo solamente che il 10-20% dei pazienti che si operano alla spalla per altre patologie (per dire frattura scomposta di trochite, lussazione di terzo grado acromion-claveare, lesione a tutto spessore del tendine del Sovraspinoso eccetera eccetera), tutti questi pazienti che hanno ovviamente un sanguinamento legato all'intervento, e quindi una successiva immobilizzazione per favorire la cicatrizzazione dei tessuti, una percentuale di questi pazienti può andare incontro a una limitazione del movimento da causa tissutale. Quindi abbiamo due grandi famiglie di rigidità da causa tissutale: quelli che si bloccano dal nulla e quelli che invece si bloccano per un motivo concreto, riconosciuto.

Come si effettua la valutazione e quindi la diagnosi?
  La diagnosi della capsulite adesiva è prevalentemente clinica, infatti gli esami strumentali sono spesso negativi e sono utili per escludere altre patologie associate. Per esempio è importante richiedere le radiografie su tre proiezioni: antero-posteriore, ascellare e Y di Neer, per avere una visione a 360 gradi delle strutture ossee, e quindi della rima articolare, l'integrità sia della glena sia della testa, che ci fa capire che la limitazione su più piani del movimento non è da causa meccanica, non c'è una artrite reumatoide, una condrocalcinosi. una osteocondromatosi o una semplice artrosi eccentrica o concentrica gleno-omerale. Quindi noi, dalla radiografia, diciamo che non c'è un motivo meccanico a questa perdita di mobilità. Ecco che la perdita di mobilità viene ricondotta a una causa tissutale, a una perdita di elasticità dei tessuti, e quindi la radiografia è importante per escludere altre patologie associate. Dopodiché possiamo richiedere una risonanza magnetica, che può farci vedere le strutture tendinee ed escludere la presenza associata di una lesione, parziale o totale, di uno dei tendini della cuffia dei rotatori. Una cosa che può essere notata nella risonanza magnetica è la perdita del volume della parte inferiore della capsula articolare, le cui superfici sono più vicine, e quindi la risonanza esclude patologie associate tendinee e può evidenziare una perdita del volume capsulare. Invece l'aspetto clinico è molto rilevante perché di fronte a noi si presenta un paziente che, pur non avendo nulla a livello osseo, pur non avendo nulla a livello tendineo, presenta una perdita di mobilità su tutti i piani dello spazio. Questa perdita di mobilità è insorta in un periodo lungo di evoluzione, cioè è comparso prima un dolore, poi questo dolore nell'arco dei mesi ha portato a una perdita del ROM passivo (e conseguentemente attivo), e manifesta soprattutto un dolore che tende ad irradiarsi verso il gomito e in molte occasioni, in molti pazienti, arriva fino alla mano. Noi sappiamo che nessuna patologia della spalla, eccetto la capsulite, tende a dare un dolore così persistente, fastidioso, che s'irradia lungo il braccio. Infatti sappiamo che la tendinite del sovraspinato in genere irradia nella zona dell'inserzione dei fasci medi del deltoide; sappiamo che l’osteolisi acromion-claveare irradia verso il tratto cervicale; sappiamo che la tendinite del capo lungo del bicipite irradia anteriormente e a volte raggiunge il gomito, ma non è così frequente; la tendinite del sottoscapolare è legata a un dolore anteriore, non irradiato. Quindi, quando di fronte a noi ci si presenta un paziente che ha una perdita su tutti i piani dello spazio, con una RX negativa, una risonanza magnetica negativa per patologie tendinee (che comunque non limiterebbero il movimento passivo, questo è ovviamente da dire) quando il paziente lamenta un dolore intenso che si irradia lungo il braccio, molto probabilmente questo paziente ha una capsulite adesiva. Ovvio che poi abbineremo i test legati alla valutazione della cuffia dei rotatori; ovvio che poi valuteremo sia la mobilità passiva in stazione eretta sia in decubito supino, per avere come riferimento il piano d'appoggio del lettino e vedere la differenza che c'è tra un braccio e l'altro. Quindi diciamo che l'aspetto legato alla valutazione è un aspetto prevalentemente clinico, osservazionale, legato all'anamnesi (cioè quello che riferisce il paziente) e che gli esami strumentali possono aiutarci per escludere patologie associate.

Quali sono i pazienti maggiormente colpiti da questa patologia?
  La forma primaria della capsulite adesiva colpisce prevalentemente le donne in un arco di età che va tra i 40-45 e i 55-65 anni. Ovviamente anche gli uomini possono essere interessati dalla frozen shoulder ma la percentuale maggiore è a carico delle donne. Dopodiché ci sono altre categorie a rischio: per esempio i pazienti che hanno il diabete insulino dipendente, i pazienti con patologie tiroidee, i pazienti che hanno delle dislipidemie o che assumono farmaci antiepilettici. Poi, nella mia esperienza ovviamente, posso indicare anche un'altra caratteristica molto importante: un'alta percentuale di pazienti, parlando durante il trattamento, riferisce forti stress emotivi che hanno preceduto l'insorgenza della rigidità. Ovvio che scientificamente questo forse non potrà mai essere dimostrato ma a mio avviso c'è una forte relazione tra gli stress emotivi e l'inizio della rigidità di spalla. Questo, sicuramente, ripeto, è difficile da spiegare ma molti pazienti dicono che prima dell'insorgenza hanno avuto, per dire, la perdita di una persona cara e questa perdita ha portato un periodo molto stressante emotivamente. Quindi ci sono tante cose che il paziente riferisce, che non è lo stress banale della quotidianità ma sicuramente è un qualcosa di molto più importante. E, se devo dirti in tutta onestà, questa percentuale di pazienti si aggira tra il 60 e l’80% quindi quando il paziente chiede “ma perché mi è venuta questa capsulite?” io ovviamente comincio ad elencare tutti i possibili fattori che la favoriscono e quindi dico il diabete, la tiroide, i problemi dei farmaci antiepilettici, le dislipidemie. Loro scuotono la testa dicendo “no, io non rientro in nessuna di queste categorie”. Quando poi dico “a volte è causata da stress emotivi” alcuni di loro si mettono a piangere all'istante e riferiscono che tutto è iniziato dopo un forte stress, come la perdita di una persona cara, quindi un lutto. Quindi, scientificamente non lo possiamo dimostrare ma c'è una forte correlazione. Poi mi viene un altra cosa da pensare: la capsulite adesiva non esiste in nessuna articolazione del corpo eccetto la spalla; cioè noi possiamo avere un trauma al ginocchio e questo ginocchio dopo essere stato immobilizzato si può irrigidire, ma questa è una rigidità secondaria. Non c'è nessuna articolazione che dal nulla s'irrigidisce, eccetto la spalla. Guarda a caso c'è un detto che è “porta il peso del mondo sulle spalle” e non è “porta il peso del mondo sulla caviglia”, “porta il peso del mondo sul ginocchio”, “porto il peso del mondo sull'anca”. Probabilmente questo detto, che è una credenza popolare e quindi non scientifico, ha un fondo di verità. Guarda a caso, solo la spalla è interessata dalla capsulite primaria.

So che la capsulite ha una sua evoluzione, quindi, ci puoi descrivere come evolve? Ci sono delle fasi che la differenziano?
  La forma primaria di questa patologia si caratterizza di tre fasi:
  1. la prima fase ha una durata che può andare da un minimo di 2 a un massimo di 9 mesi. In questa fase il paziente inizia ad avvertire i primi segni del dolore. Questo dolore inizialmente non lo preoccupa però, man mano che passano i mesi, questo dolore può essere più o meno intenso, può disturbare il sonno notturno e, soprattutto, non passa mai. Quindi il paziente inizia piano piano a preoccuparsi.
  2. la fase due inizia nel momento in cui il paziente tende a perdere qualche grado di mobilità. Questi gradi di mobilità possono essere da pochi a molti e la fase ha una durata che va da un minimo di 3 a un massimo di 12 mesi. In questa fase il paziente è maggiormente preoccupato perché il dolore è più intenso e in più si abbina al dolore la perdita del movimento. E quindi, ovviamente, a livello funzionale nota una grave difficoltà nei movimenti. Se avvengono dei movimenti inavvertiti, bruschi, come per dire... inciampo, mi sta per cadere un oggetto o chiudo lo sportello della macchina bruscamente, si abbina a questi movimenti bruschi un dolore molto intenso, che si irradia lungo tutto il braccio e che per alcuni secondi lascia il paziente tramortito. In questa fase c'è ancora un processo infiammatorio. Ecco che il dolore è intenso perché è giustificato dall’infiammazione della capsula articolare.
  3. nella terza fase il dolore diminuisce ma in alcuni pazienti può rimanere la perdita del movimento. Ecco che molti colleghi o medici dicono che la capsulite adesiva si risolve spontaneamente. Certo, la capsulite adesiva si risolve, quindi per quanto riguarda l'aspetto del processo infiammatorio in fase 3 non c'è più l'infiammazione della capsula. Quello che invece può rimanere, come complicanza dell'infiammazione capsulare, è la perdita del movimento. Quindi la perdita del movimento è la conseguenza dell'infiammazione della capsula, non la patologia stessa, perché la patologia si è in realtà risolta. Ecco che molti pazienti che arrivano magari nello studio in fase 2, e che noi riconosciamo che hanno una capsulite, possono dirci “ma sì, mi hai raccontato che ci sono queste tre fasi ma devo per forza arrivare alla terza? Non possiamo fermarla prima?”. E ovviamente io spiego che una volta che inizia la fase uno, che è l'inizio dell'infiammazione, conseguentemente c'è la fase 2, che è la perdita di questa elasticità; e di conseguenza c'è la fase 3, che è la fine dell'infiammazione. È come l'influenza: il paziente ha una semplice influenza, inizierà con qualche brivido, qualche linea di febbre, poi avrà un picco e poi l’influenza passerà. E quindi la fase 3 si abbina alla risoluzione dell’infiammazione. Molti pazienti, però, hanno una perdita di mobilità importante, di parecchi gradi, alcuni anche fino a 120 gradi di perdita dell'elevazione anteriore (che ricordiamo essere di 180 gradi). Quindi non riescono ad alzare il braccio nemmeno al di sopra della spalla e questa limitazione complica tutte le attività della vita quotidiana, dal vestirsi, a lavarsi, al mangiare e quindi sicuramente il paziente è molto preoccupato della situazione. Mentre nella fase 2 è il dolore che sovrasta la perdita della mobilità, quindi il paziente è più preoccupato del dolore, nella fase 3 (se rimane la rigidità, perché a volte si può autorisolvere se la capsulite non è molto violenta) se rimane la rigidità, prevale il disturbo funzionale. Ecco che noi possiamo riconoscere la fase 2 dalla fase 3 da diverse caratteristiche. La prima di queste è la diminuzione del dolore e invece la presenza maggiore del disturbo della rigidità. Poi, l'altra caratteristica per cui distinguiamo la fase 2 dalla fase 3, è la tempistica. Raramente ho visto pazienti in fase 3 prima dei sei mesi dall’insorgenza del primo sintomo doloroso. Infatti, se andiamo a vedere la prima fase può durare un minimo di due mesi, la seconda fase dura un minimo di tre, quindi la somma già fa cinque mesi. Ecco perché per arrivare in fase 3, a volte devono passare più di cinque mesi. È una patologia molto lunga dal punto di vista della sintomatologia, però un aspetto positivo è che si risolve. Quindi, sicuramente, il paziente che ha una capsulite adesiva arriverà a risolvere il dolore in primo luogo, e a recuperare completamente la mobilità limitata da questa infiammazione.
Facciamo una piccola parentesi, diciamo, di EBM. Esistono delle linee guida per la cura e il trattamento della capsulite adesiva?
  Allora, sicuramente non esistono delle linee guida univoche sul trattamento per risolvere una capsulite adesiva primaria. Io ho letto le più recenti linee guida, che risalgono al 2018, e ci sono molte situazioni contrastanti. Si parla di tutto e di più. Ovviamente, anche nelle discussioni coi colleghi o nei vari congressi, emerge quest'aspetto. Facciamo, per esempio, delle considerazioni relative ad altre patologie. Se prendiamo un paziente di 55 anni, che ha una risonanza magnetica positiva per lesione a tutto spessore del tendine del Sovraspinoso, soggetto quindi giovane, che deve compiere ancora dei lavori pesanti. Ha un dolore refrattario al trattamento riabilitativo, magari è stato fatto di tutto e questo dolore non è passato. Il consiglio dell'ortopedico, di tutti gli ortopedici, è quello di fare un intervento in artroscopia per la sutura di questo tendine. Se abbiamo un paziente, invece di 70-75 anni, che ha una grave artrosi eccentrica, con forti dolori che non passano con nulla e perdita della funzionalità molto importante, l'indicazione di tutti gli ortopedici (quindi ci sono delle linee guida comuni) è quella di fare una protesi inversa. Se invece prendiamo un paziente che in realtà non ha nulla, perché ha delle radiografie negative, una risonanza magnetica negativa, ha solo una perdita di mobilità su tutti i piani, invalidante e dolorosa, qui per qualcosa di meno grave (perché a livello di esami strumentali non c'è niente di significativo) ci complichiamo la vita. Perché c'è un medico che magari dice “fai del cortisone per bocca per 2 3 settimane”, l'altro che fa le infiltrazioni di cortisone endoarticolari. Poi c'è chi propone il cateterino a permanenza, c'è chi dice di fare degli esercizi di autoallungamento, quindi domiciliari; c'è chi dice “va in piscina a fare dei movimenti in acqua”, c'è chi fa delle mobilizzazioni passive più o meno dolorose, c'è chi dice addirittura “aspetta che ti passi”. Quindi vediamo che nell'ambito della capsulite adesiva primaria non troveremo mai, a mio avviso, un accordo, una linea guida univoca. Perché? Perché è la stessa patologia che può avere forme più o meno gravi e può andare dalla autorisoluzione alla grande rigidità. Quindi, immaginate una capsulite che va verso l’autorisoluzione: noi magari gli facciamo una terapia fisica (questa patologia si risolveva da sola nell'arco di diversi mesi) e attribuiamo a quella terapia fisica il risultato positivo. Oppure facciamo un altro approccio terapeutico, la patologia tendeva ad autorisolversi spontaneamente nel corso di mesi, e quindi attribuiamo il vantaggio a quell’approccio terapeutico. Quindi ci sarà sempre un po' di discussione, dibattito per quanto riguarda l'approccio riabilitativo a questa patologia. L'unica cosa che ci accomuna, che ci rende tutti d'accordo, è che sicuramente è dolorosa, molto lunga nella risoluzione, invalidante se c'è una grave perdita di ROM passivo, e il cui recupero è, sì completo, ma comunque lento.

Quale strategia consigli tu al paziente che si presenta in studio con diagnosi di capsulite?
  Ovviamente parlo direttamente col paziente e gli dico “per recuperare questi gradi mancanti di mobilità, che nel tuo caso sono 90, esistono tre strategie”:
  1. la prima strategia è rappresentata dagli esercizi di allungamento, da fare quotidianamente a casa, abbinati alle mobilizzazioni passive fatte dal fisioterapista, proprio per vincere la resistenza di questo tessuto che si è retratto.
  2. il secondo approccio è la mobilizzazione, però previa anestesia di plesso.
  3. il terzo è l'intervento di artrolisi artroscopico.
Quindi io metto sul piatto della bilancia questi tre approcci. Ovvio che il paziente viene da me dopo aver fatto terapie fisiche di tutti i generi, esercizi, mobilizzazioni più o meno intense e questa rigidità è ancora presente. Quindi sono passati 8-9-10 mesi e il paziente non ha risolto. E io gli dico “a mio avviso le tre strategie più utili sono queste. La prima l'hai già fatta ma forse magari il collega ha tirato ma non con la dovuta intensità. Tu hai una resistenza, questa resistenza deve essere vinta non con un allungamento prolungato (come per esempio possiamo fare sul muscolo per ridurre l'attivazione dei fusi neuromuscolari). Quel tessuto che resiste, che è retratto, è la capsula e quindi non lavoriamo sul tempo d'allungamento ma lavoriamo sull’intensità dell'allungamento, perché dobbiamo vincere una resistenza. È come se io dovessi spingere una macchina che ha finito la benzina. Se mi appoggio dolcemente la macchina rimane lì per ore, giorni e mesi. Se invece vinco la resistenza della macchina, ovviamente la macchina si sposta. Quindi questa resistenza capsulare ha un'intensità che noi dobbiamo vincere con un'intensità superiore dell'allungamento. Ovviamente queste sedute sono molto dolorose. Quindi si scalda molto col movimento passivo dolce, inizialmente, e via via che la spalla è ben calda si può preparare prima con un panno caldo umido, un termoforo, una terapia con calore, e poi successivamente passare all'allungamento. Diciamo che questa strategia può ottenere sicuramente dei buoni risultati, però in tempi più lunghi e con un dolore più intenso. La seconda strategia è legata alla mobilizzazione in anestesia di plesso. Io ho iniziato questa procedura personalmente nel 1999, quindi sono passati vent'anni e più, e sicuramente ha ottenuto dei grandi vantaggi. Dopo magari parleremo esclusivamente dello sblocco in anestesia di plesso, nella successiva domanda. Per il momento l'accenniamo solamente. Dopodiché c'è l’artrolisi artroscopica. In linea generale, quando un paziente viene visitato dall'ortopedico e viene diagnosticata una capsulite adesiva, il medico dice al paziente “ok fai alcuni mesi di riabilitazione, fino magari a 6-8 mesi. Se non risolviamo in questo modo facciamo l'intervento artroscopico di artrolisi.” Ovviamente, a mio avviso, da fare un trattamento conservativo che non ottiene risultati a fare un intervento chirurgico, c'è un passo troppo lungo. Sicuramente la procedura di mobilizzazione in anestesia di plesso è una tappa intermedia che porta a buoni risultati e che può scongiurare l'intervento chirurgico, che comunque sia, se il secondo step legato alla mobilitazione in anestesia di plesso non ottiene dei risultati, l'intervento è sempre lì a disposizione, per cercare di risolvere quella spalla particolarmente difficile.

Ecco, parliamo proprio di questa procedura un po' controversa, che è la mobilizzazione in anestesia di plesso. Tu la consigli?
  La mia esperienza diretta sulla mobilizzazione in anestesia di plesso è un'esperienza molto positiva, perché mi ha consentito di risolvere delle capsuliti veramente gravi, con perdite di mobilità superiori ai 100 gradi di anteposizione, con extrarotazioni a -10, -15 gradi, con intrarotazioni che non arrivavano neanche al gran trocantere, quindi braccio praticamente lungo il fianco. Questi pazienti avevano già effettuato vari mesi di terapie fisiche, terapie farmacologiche, infiltrazioni, alcuni di loro fino a 11 infiltrazioni senza ottenere alcun risultato sul recupero della mobilità. Consideriamo sempre il fatto che il dolore diminuisce perché la patologia va nella direzione di un recupero dell'infiammazione, quindi l'infiammazione si attenua, indipendentemente da quello che noi facciamo, quindi il paziente arriverà a un punto che avrà meno dolore ma potrà avere una limitazione importante del movimento. Quindi, come recuperare questo movimento? Se il paziente ha fatto tantissime procedure e non ha ottenuto nessun vantaggio, e la perdita di mobilità è molto consistente, io propongo la mobilizzazione in anestesia di plesso. Ovvio che ci sono dei criteri di inclusione:
  • dobbiamo avere dei pazienti non molto adulti, perché non dobbiamo avere associazioni di osteoporosi
  • dobbiamo avere dei pazienti che hanno una capsulite primaria in fase 3, perché lo sblocco in anestesia non può essere fatto in una fase 2, dove presenta ancora l'infiammazione. L'infiammazione verrebbe accentuata da una procedura eccessivamente cruenta, quindi noi dobbiamo essere super sicuri che il paziente sia in fase 3.
Dopodiché, la procedura offre sicuramente dei vantaggi importantissimi. Voi considerate il fatto che una grave rigidità di spalla recupera circa 5-10 gradi di movimento con delle terapie di mobilizzazione in assenza di anestesia. Quindi se noi abbiamo un paziente che ha 90 gradi mancanti di mobilità passiva, avremo una proiezione sul suo recupero che va da 9 a 18 mesi. Se invece lo stesso paziente effettua una mobilizzazione in anestesia di plesso, seguita da un percorso riabilitativo, lo stesso paziente può recuperare il completo ROM di movimento passivo in un arco di tempo che va da 35 giorni a 90 giorni successivi alla mobilizzazione in anestesia di plesso. Quindi abbiamo un importante vantaggio nell'ambito della tempistica e del recupero. È come se due persone partissero oggi per arrivare ad una meta e uno arriva 6-9 mesi dopo, mentre l'altro arriva in anticipo. Quindi non stiamo certo facendo una gara ma sicuramente il paziente, che è già stremato da una lunga patologia, che finalmente arriva in fase 3, non vede l'ora di risolverla, e risolverla in tempi più brevi è sicuramente un vantaggio. Ovvio che questa procedura offre dei rischi. Ha dei vantaggi ma al tempo stesso ha dei rischi. Sono stati citati, non diciamo non riguardano me personalmente, dei casi di frattura del collo chirurgico dell'omero, dei casi di lussazione gleno-omerale provocata dalla manovra, dei casi di rotture tendinee del sottoscapolare oppure di avulsione del cercine antero-inferiore. Quindi, sicuramente è una procedura che non può essere fatta così, senza aver acquisito un'esperienza diretta. Poi questa procedura ha una precisa evoluzione, cioè i movimenti devono essere effettuati in una logica di progressione. In generale inizia con l'allungamento della porzione posteriore della capsula articolare, attraverso il movimento di adduzione e di rotazione interna per poi, dopo aver fatto diversi movimenti, finire con il movimento di extrarotazione a braccio addotto. Questo perché? Perché la capsula posteriore ha uno spessore che è la metà della capsula anteriore. La capsula anteriore è il doppio della capsula posteriore come spessore perché è inspessita dei legamenti gleno-omerale superiore medio e inferiore. Quindi noi non dobbiamo andare subito a mettere in tensione la porzione meno elastica della capsula, che è quella anteriore. Dobbiamo prima vincere le resistenze della capsula più “debole”. Quando vinciamo quelle resistenze anche la porzione anteriore cede più facilmente perché l'articolazione comincia a fare gioco. E quindi, sicuramente questa procedura fatta in fase 3, su pazienti che non hanno osteoporosi, su pazienti che non hanno patologie di cuffia associata, può offrire un notevole vantaggio nel recupero più rapido e veloce della patologia legata alla rigidità.

Siamo in fase conclusiva e quindi ti chiedo: hai qualche consiglio per i pazienti e per i colleghi?
  • I consigli che mi sento di dare in primo luogo ai pazienti sono sicuramente: essere nel vero senso della parola “pazienti”, perché questa è una patologia che spesso ha tempi lunghi di risoluzione; ovviamente di scegliere la strada migliore nel recupero di questa elasticità che i tessuti hanno perso. Le strade, come abbiamo detto, sono 3: se c'è una lieve rigidità bastano degli esercizi di auto-allungamento e delle mobilizzazioni passive col fisioterapista; se la rigidità è medio grave la strada più veloce, quando ovviamente ci sono i presupposti (quindi no osteoporosi, no patologie correlate tendinee) sicuramente la strada migliore nelle capsuliti medio gravi, è la mobilizzazione in anestesia di plesso; se invece fallisce questa procedura, che in realtà nella mia esperienza ormai di vent'anni di mobilizzazione in anestesia ha fallito pochissime volte; se dovesse fallire l'ulteriore strada può essere l'artrolisi di distensione oppure l'intervento di artrolisi artroscopica. Questo per quanto riguarda i consigli ai pazienti.
  • Invece i consigli ai colleghi fisioterapisti: se ci troviamo di fronte a una capsulite primaria, è importante individuare lo stadio in cui questa capsulite è. Perché se è in uno stadio 2, fare delle terapie che producono calore nel tessuto oppure dolore nelle zone dell'articolazione della spalla come mobilizzazioni intense, oppure onde d'urto, oppure altre terapie che arrecano dolore, può avere un effetto contrario, negativo. Perché gli stimoli dolorosi in fase 2 possono scatenare un’ulteriore infiammazione. Quindi è importante stabilire se la capsulite è primaria o secondaria; se è primaria, in quale fase è. Mai agire in una fase 2. E’ sempre meglio intervenire, avere un po' di pazienza e aspettare, che la capsulite arrivi in stadio 3, che comunque ci arriva perché è una naturale evoluzione della capsulite primaria.
Molto bene. Un'ultima domanda sulla tua attività formativa. Possiamo dire senza dubbio che in Italia sei un riferimento assoluto per quanto riguarda la spalla. Effettui appunto docenza, corsi di formazione per colleghi che vogliono perfezionarsi nella gestione, nel trattamento di questa articolazione così complessa. E so che recentemente hai lanciato un progetto FAD, tra l'altro da 50 crediti ECM, in cui tratti un po' tutti gli argomenti, tutte le patologie che normalmente tratti ai tuoi corsi. Dalla capsulite, all'instabilità, alle patologie di cuffie, alle patologie traumatiche. Ce ne vuoi parlare?
  Certo Alessandro. È da tantissimi anni che effettuo dei corsi teorici-pratici un po' in giro per l'Italia, sia in ospedali che in centri di fisioterapia, che attraverso l'invito di provider. Mi sono trovato di fronte a una nuova esperienza: questa nuova esperienza che si realizza online, con un corso accreditato FAD, con l'appunto 50 crediti formativi, dove il provider mi ha chiesto di argomentare diverse patologie della spalla. Quindi ho formato sette video didattici. In questi video parlo dei vari argomenti come le discinesie scapolo-toraciche, oppure la spalla dell'atleta; oppure quelle che tu hai elencato prima tipo le patologie tendinee, la capsulite adesiva, l'instabilità traumatica o l'esame obiettivo. È una nuova esperienza. Spero che questi video piacciano e che diano spunto per una crescita professionale a tutti quelli che acquisteranno il pacchetto di video online. Tutti i colleghi che fossero interessati possono contattare direttamente me per alcune informazioni oppure il provider che si chiama secer formazioni, oppure il collega Giuseppe Scalise che si occupa appunto di promuovere questo corso fad.

Ok, direi che anche oggi sei stato chiarissimo. Io ti ringrazio per essere sempre così disponibile a questi interventi e ti aspetto prossimamente magari per parlare di patologie di cuffia o di patologie traumatiche.
  Ciao Alessandro, sono io che ringrazio te. Sei stato molto gentile, mi hai nuovamente coinvolto in un argomento molto interessante che mi sta molto a cuore, come appunto la capsulite adesiva. Spero di essere stato chiaro e che queste indicazioni siano servite ai colleghi. Alla prossima occasione, appunto, per altre discussioni su altre patologie della spalla ortopedica



Intro & outro Music by Alex Anceschi
music: http://www.purple-planet.com

+++ Questo podcast non incita all'autotrattamento e all'autodiagnosi. Per le  problematiche descritte negli episodi a seguire consultate sempre il vostro medico o un professionista+++

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