martedì 30 dicembre 2014

6 DOMANDE PER SCOPRIRE LA FIBROMIALGIA

Un nuovo test aiuta a diagnosticare in anticipo la malattia


Un test che aiuti pazienti e medici e renda più efficaci le cure. Si tratta del cosiddetto Test Benevento, un questionario rivolto a chi soffre di dolore cronico per facilitare una diagnosi il più precoce possibile della fibromialgia.

La fibromialgia è una patologia caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso per tutto il corpo e persistente che si accompagna ed è in parte causa di grave affaticamento. La malattia colpisce in prevalenza donne adulte, mentre è piuttosto rara fra i bambini. Il dolore muscoloscheletrico avvertito dal paziente interessa ogni zona del corpo, e la sua persistenza anche durante la notte pregiudica il riposo, associandosi pertanto a una frequente sensazione di affaticamento e di stanchezza che, a sua volta, soprattutto in soggetti predisposti, provoca sintomi depressivi e ansia.

La diagnosi avviene sulla base dell’individuazione di dolore persistente (più di tre mesi) che colpisca almeno 4 aree del corpo, in associazione al dolore in 11 dei 18 “tender points” (i punti di amplificazione del dolore). La terapia punta innanzitutto a liberare il paziente dal disagio psicologico che può derivare dalla scoperta della malattia. In seguito, viene programmato uno schema di lavoro fisico che contrasti gli effetti della patologia; in particolare viene spesso consigliata l' idrokinesiterapia.

A questo lavoro si aggiunge una terapia cognitivo-comportamentale che può essere individuale o di gruppo. In terzo luogo, una certa percentuale di pazienti ricorre a terapia farmacologica per normalizzare il ciclo sonno-veglia.

Il Test Benevento, ideato in occasione del Convegno medico “Le giornate reumatologiche sannite”, si basa su sei domande che riassumono la sintomatologia peculiare della fibromialgia e analizzano il dolore spontaneo diffuso al risveglio, l’astenia mattutina, le acroparestesie (formicolio, bruciore, costrizione, intorpidimento delle estremità), i disturbi del sonno, la comorbidità pregressa o presente con piccola psicopatologia o stress, la concomitanza di sindromi disfunzionali.

Il test èdisponibile sul sito internet della Reumatologia dell’Ospedale di Benevento (LINK). Tutte le persone che avranno un punteggio del test fuori dalla norma dovranno rivolgersi al loro medico che, dopo averli visitati, li potrà indirizzare a uno specialista del settore.

Il test servirà anche agli specialisti (algologi, reumatologi, fisiatri, ecc.) per distinguere le forme fibromialgiche da quelle legate ad alterazioni strutturali di vari organi ed apparati.

“Ancora troppo spesso il paziente con fibromialgia arriva a scoprire la sua malattia con grave ritardo, dopo aver contattato diversi medici e specialisti – ha dichiarato il Dott. Stefano Stisi che dirige il centro di Reumatologia di Benevento –. Con questo test, che presto sarà disponibile sul sito del nostro reparto, abbiamo pensato di fornire un aiuto concreto a tante persone che soffrono e non ne conoscono la ragione. Una diagnosi corretta di fìbromialgia è il presupposto per cure efficaci”.
Il Test di Benevento è stato messo a punto dai dottori Stisi e Venditti, dalla struttura di reumatologia dell’Ospedale G. Rummo di Benevento, in collaborazione con il dottor Murgia, reumatologo di Cagliari.
Le domande e i punteggi sono stati validati su una popolazione di 83 pazienti affetti da Sindrome Fibromialgica primaria e confrontati con un campione di 36 soggetti sani pari età.
Si tratta del primo test italiano che viene autocompilato dal paziente con il fine di predire il sospetto diagnostico di fibromialgia. Esistono altri questionari simili, i quali tuttavia vengono rivolti ai medici e risultano pertanto ostici da compilare in maniera autonoma da un paziente.
La fibromialgia interessa circa 1,5 milioni di italiani ed è una delle malattie reumatiche più diffuse. Colpisce soprattutto le donne (nove volte su dieci) e il sintomo principale è il dolore cronico.
Non si tratta di una sindrome depressiva o di una malattia immaginaria come molti medici ancora credono, ma di una malattia vera, che interessa i centri di percezione dolorosa situati nella sostanza bianca del cervello e del midollo spinale. Si manifesta con dolori muscolari, affaticamento cronico, ipersensibilità al dolore proveniente anche da stimoli cutanei innocui, mal di testa, disturbi del sonno. Questa alterazione periferica e centrale dei meccanismi del dolore fa sì che ogni stimolo, anche quello più naturale e fisiologico – dallo stare in piedi ai rapporti sessuali – risulti doloroso. E il dolore è cronico, tale da compromettere la qualità di vita.

Foto: 6 DOMANDE PER SCOPRIRE LA FIBROMIALGIA

Un nuovo test aiuta a diagnosticare in anticipo la malattia

Un test che aiuti pazienti e medici e renda più efficaci le cure. Si tratta del cosiddetto Test Benevento, un questionario rivolto a chi soffre di dolore cronico per facilitare una diagnosi il più precoce possibile della fibromialgia.
La fibromialgia è una patologia caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso per tutto il corpo e persistente che si accompagna ed è in parte causa di grave affaticamento. La malattia colpisce in prevalenza donne adulte, mentre è piuttosto rara fra i bambini. Il dolore muscoloscheletrico avvertito dal paziente interessa ogni zona del corpo, e la sua persistenza anche durante la notte pregiudica il riposo, associandosi pertanto a una frequente sensazione di affaticamento e di stanchezza che, a sua volta, soprattutto in soggetti predisposti, provoca sintomi depressivi e ansia.
La diagnosi avviene sulla base dell’individuazione di dolore persistente (più di tre mesi) che colpisca almeno 4 aree del corpo, in associazione al dolore in 11 dei 18 “tender points” (i punti di amplificazione del dolore). La terapia punta innanzitutto a liberare il paziente dal disagio psicologico che può derivare dalla scoperta della malattia. In seguito, viene programmato uno schema di lavoro fisico che contrasti gli effetti della patologia; in particolare viene spesso consigliata l' idrokinesiterapia.
A questo lavoro si aggiunge una terapia cognitivo-comportamentale che può essere individuale o di gruppo. In terzo luogo, una certa percentuale di pazienti ricorre a terapia farmacologica per normalizzare il ciclo sonno-veglia.
Il Test Benevento, ideato in occasione del Convegno medico “Le giornate reumatologiche sannite”, si basa su sei domande che riassumono la sintomatologia peculiare della fibromialgia e analizzano il dolore spontaneo diffuso al risveglio, l’astenia mattutina, le acroparestesie (formicolio, bruciore, costrizione, intorpidimento delle estremità), i disturbi del sonno, la comorbidità pregressa o presente con piccola psicopatologia o stress, la concomitanza di sindromi disfunzionali.
Tra non molto, il test sarà disponibile sul sito internet della Reumatologia dell’Ospedale di Benevento (www.beneventoreumatologia.it). Tutte le persone che avranno un punteggio del test fuori dalla norma dovranno rivolgersi al loro medico che, dopo averli visitati, li potrà indirizzare a uno specialista del settore.
Il test servirà anche agli specialisti (algologi, reumatologi, fisiatri, ecc.) per distinguere le forme fibromialgiche da quelle legate ad alterazioni strutturali di vari organi ed apparati.
“Ancora troppo spesso il paziente con fibromialgia arriva a scoprire la sua malattia con grave ritardo, dopo aver contattato diversi medici e specialisti – ha dichiarato il Dott. Stefano Stisi che dirige il centro di Reumatologia di Benevento –. Con questo test, che presto sarà disponibile sul sito del nostro reparto, abbiamo pensato di fornire un aiuto concreto a tante persone che soffrono e non ne conoscono la ragione. Una diagnosi corretta di fìbromialgia è il presupposto per cure efficaci”.
Il Test di Benevento è stato messo a punto dai dottori Stisi e Venditti, dalla struttura di reumatologia dell’Ospedale G. Rummo di Benevento, in collaborazione con il dottor Murgia, reumatologo di Cagliari.
Le domande e i punteggi sono stati validati su una popolazione di 83 pazienti affetti da Sindrome Fibromialgica primaria e confrontati con un campione di 36 soggetti sani pari età. 
Si tratta del primo test italiano che viene autocompilato dal paziente con il fine di predire il sospetto diagnostico di fibromialgia. Esistono altri questionari simili, i quali tuttavia vengono rivolti ai medici e risultano pertanto ostici da compilare in maniera autonoma da un paziente.
La fibromialgia interessa circa 1,5 milioni di italiani ed è una delle malattie reumatiche più diffuse. Colpisce soprattutto le donne (nove volte su dieci) e il sintomo principale è il dolore cronico. 
Non si tratta di una sindrome depressiva o di una malattia immaginaria come molti medici ancora credono, ma di una malattia vera, che interessa i centri di percezione dolorosa situati nella sostanza bianca del cervello e del midollo spinale. Si manifesta con dolori muscolari, affaticamento cronico, ipersensibilità al dolore proveniente anche da stimoli cutanei innocui, mal di testa, disturbi del sonno. Questa alterazione periferica e centrale dei meccanismi del dolore fa sì che ogni stimolo, anche quello più naturale e fisiologico – dallo stare in piedi ai rapporti sessuali – risulti doloroso. E il dolore è cronico, tale da compromettere la qualità di vita.

TAPING NEUROMUSCOLARE


Taping NeuroMuscolare é una tecnica basata sui processi di guarigione naturale del corpo. I muscoli non sono solo legati ai movimenti del corpo, ma anche al controllo della circolazione dei liquidi venosi e linfatici, della temperatura corporea ecc, pertanto il funzionamento non appropriato dei muscoli induce differenti tipologie di sintomi. La tecnica Taping NeuroMuscolare si basa su un concetto terapeutico che agevola liberi movimenti al fine di permettere al sistema muscolare di aiutare il corpo ad auto guarirsi biomeccanicamente.

Il Taping NeuroMuscolare che si basa sulle naturali capacità di guarigione del corpo, è una tecnica correttiva meccanica e sensoriale che favorisce una migliore circolazione sanguigna e linfatica nell’area da trattare. E’ ideale nella cura di muscoli, nervi e organi nelle situazioni post-traumatiche, in fisioterapia o semplicemente per migliorare il rendimento sportivo.

L’uso del Taping NeuroMuscolare offre all’operatore medico sportivo e fisioterapista un approccio nuovo, innovativo e non farmacologico che va alla radice di ogni patologia. I muscoli sono trattati con un nastro elastico, che permette il pieno movimento muscolare e articolare e attiva le difese corporee aumentando la capacità di guarigione.

Foto: TAPING NEUROMUSCOLARE (i famosi nastri colorati)

Taping NeuroMuscolare é una tecnica basata sui processi di guarigione naturale del corpo. I muscoli non sono solo legati ai movimenti del corpo, ma anche al controllo della circolazione dei liquidi venosi e linfatici, della temperatura corporea ecc, pertanto il funzionamento non appropriato dei muscoli induce differenti tipologie di sintomi. La tecnica Taping NeuroMuscolare si basa su un concetto terapeutico che agevola liberi movimenti al fine di permettere al sistema muscolare di aiutare il corpo ad auto guarirsi biomeccanicamente. 


Il Taping NeuroMuscolare che si basa sulle naturali capacità di guarigione del corpo, è una tecnica correttiva meccanica e sensoriale che favorisce una migliore circolazione sanguigna e linfatica nell’area da trattare. E’ ideale nella cura di muscoli, nervi e organi nelle situazioni post-traumatiche, in fisioterapia o semplicemente per migliorare il rendimento sportivo. L’uso del Taping NeuroMuscolare offre all’operatore medico sportivo e fisioterapista un approccio nuovo, innovativo e non farmacologico che va alla radice di ogni patologia. I muscoli sono trattati con un nastro elastico, che permette il pieno movimento muscolare e articolare e attiva le difese corporee aumentando la capacità di guarigione.

http://www.taping.it/blog/wp-content/uploads/2012/03/5-taped_front+logo.jpg

TECAR ® / Tecarterapia / Diatermia

Una terapia ormai famosissima, sbarcata in Italia nei primi anni 2000, appannaggio solo degli sportivi d'alto livello (serie A, atleti olimpici...) all'inizio, probabilmente per i costi del macchinario, e oggi non c'è giornale sportivo amatoriale che non la consiglia per le più svariate patologie.

UNA PREMESSA IMPORTANTE:

Ma quanto è facile, però, leggere nei forum nel web, storie di delusioni, di "cuori affranti", di aspettative e promesse non mantenute.
Il boom della tecarterapia, i prezzi dei macchinari lievemente più basso, ha fatto sì che tanti terapisti utilizzino questo macchinario senza aver mai eseguito almeno un corso base.
E la differenza nei risultati, in questo caso, la fa proprio la metodologia di utilizzo!
Qualcuno mi disse: "Se ti dò la Ferrari di Schumacher, credi di ottenere i suoi stessi risultati?"

Innanzitutto, una dovuta precisazione: la Tecar ® / Tecarterapia / Diater / Diatermia NON E' LA PANACEA!

COME FUNZIONA:

Una particolare frequenza, scoperta in Spagna nella fine degli anni '80, stimola l'ossigenazione nella cellula del 300%, quindi accelera il metabolismo e la rigenerazione tissutale.
In realtà le macchine per diatermia erano già state utilizzate dai nazisti nella seconda guerra mondiale per accelerare la guarigione delle ferite di guerra dei soldati e poi "esportata" in America e presto abbandonata, non avendo ancora sperimentato la suddetta frequenza.

In base ai tessuti bersaglio si utilizzano due manipoli: uno detto "CAPACITIVO", l'altro detto "RESISTIVO".
Il calore prodotto è da considerarsi "ENDOGENO", ovvero "PRODOTTO DAL CORPO TRATTATO"; la Tecar ® / Tecarterapia / Diater / Diatermia non è un ferro da stiro

Il movimento degli elettroni all'interno del tessuto umano mette in moto le cellule e produce calore.

COME DEVE ESSERE UTILIZZATA:

In base ai fini terapeutici può essere utilizzata in
  • ATERMIA (nessun calore, per esempio nei casi di impianti protesici),
  • OMOTERMIA (temperatura corporea, per esempio nei drenaggi),
  • IPERTERMIA (calore più o meno forte, per esempio per articolazioni artrosiche).
Tranne nei casi in cui l'energia va applicata in un punto preciso e per determinati scopi, il manipolo diventa "UNA PROLUNGA DELLA MANO DEL TERAPISTA"!
QUESTO LA DIFFERENZIA UN'ALTRA TERAPIA FISICA!
Proprio perchè essa AUMENTA L'EFFICACIA della manualità del terapista, il manipolo viene tenuto in mano:

  • Durante un massaggio decontratturante / linfodrenante
  • Durante una mobilizzazione a leva lunga (per esempio mentre il terapista mobilizza tutto l'arto inferiore)
  • Durante una mobilizzazione a leva corta (per esempio mentre il terapista esegue spostamenti di un omero, in una terapia della spalla)
  • Durante un esercizio attivo eseguito dal paziente, anche con l'ausilio di elastici, pesi...
  • Durante movimenti complessi, per esempio durante la pedalata sulla cyclette o un esercizio propriocettivo sulla tavoletta.

EFFETTO BIOLOGICO:

Questi effetti sono:
- aumento del metabolismo cellulare localizzato;
- aumento della microcircolazione capillare e arteriolare;
- iperossigenazione tessutale con riduzione dei processi infiammatori;
- drenaggio venolinfatico con riduzione degli edemi e delle stasi congestizie;
- rimozioni dei cataboliti tessutali;
- riduzione del dolore per desensibilizzazione delle terminazioni periferiche e aumento delle endorfine;
- aumento della velocità di riparazione dei tessuti;
- risoluzione dei processi cronico degenerativi;
- azione decontratturante e defaticante muscolare.

DISCOPLASTICA - L'ERNIA CERVICALE BATTUTA DA UN AIR BAG

Ecco l'ultima frontiera per curare l'ernia del disco cervicale. Un disco artificiale che va a sostituire quello originario usurato e diventa un air bag vertebrale capace di eseguire tutti i movimenti normali della zona cervicale. Assorbe gli "shock" e restituisce mobilità in tempi record. Il suo impianto potrebbe in breve sostituire la normale tecnica chirurgica per risolvere il problema dell'ernia cervicale che colpisce dai 20 anni in su. 

Conferme dell'efficacia del dispositivo e della tecnica arrivano anche dal Politecnico di Milano, dove studi di biomeccanica assicurano la sua totale somiglianza con il disco intervertebrale 'naturale' dal punto di vista dell'assorbimento degli shock e del movimento. 


La discoplastica, questo il nome dell'innovativa tecnica chirurgica, considerati gli ottimi risultati ottenuti sarà presto approvata dell'FDA. "I dati di Barcellona confermano quello che anche i dati provenienti dalla nostra casistica, e non ancora pubblicati, hanno già rivelato: le generali condizioni cliniche del paziente risultano sensibilmente migliorate rispetto alla tecnica tradizionale - ha affermato Roberto Assietti, il neurochirurgo del Fatebenefratelli di Milano che realizza, tra i pochissimi in Italia, questo tipo di intervento. 


"Il risultato a mio avviso più sorprendente - ha continuato Assetti - è che il paziente lo stesso giorno dell'intervento può alzarsi, sfilarsi il collare e dopo neanche 10 giorni ricominciare le sue normali attività quotidiane. Risultati molto più lunghi e più difficili da raggiungere con la tecnica tradizionale, che resta comunque una buona soluzione per pazienti non candidati a questa tecnica". 


L'ernia del disco cervicale è una patologia degenerativa che può insorgere a qualsiasi età in soggetti geneticamente predisposti. Le vertebre, che hanno la funzione di proteggere il midollo spinale, sono separate da un disco che per il 90% è costituito da soluzione acquosa, capace di assorbire urti e shock di varia natura. La formazione di un'ernia è facilitata dalla perdita del contenuto acquoso di un disco intervertebrale. Basta una scorretta posizione durante il lavoro, nel sonno, piccoli traumi per provocare alterazioni in una struttura già predisposta. I sintomi sono il collo bloccato e un dolore acuto che interessa braccio, avambraccio fino a raggiungere la mano.

Fino a qualche anno fa questa patologia veniva curata solo con una tecnica chirurgica chiamata "fusione intersomatica" che consiste nel bloccaggio, attraverso un sistema di viti, placche e innesti, di due 'corpi' vertebrali. Di sicura efficacia nel breve periodo, a lungo termine la fissità di 2 o più elementi può determinare una degenerazione delle vertebre adiacenti. Conferme arrivano da alcuni studi che hanno dimostrato che per oltre il 30% dei pazienti trattati con la "fusione" è necessario un nuovo intervento a causa della fissità degli elementi cervicali e della conseguente degenerazione delle vertebre che compromettono, comunque, la motilità. 

Per evitare questa e altre conseguenze è iniziata la diffusione delle discoplastica. Un disco artificiale viene posizionato al posto dell'originario danneggiato, riforma il cuscinetto "shock-absorbing" e ripristina la motilità a livello delle vertebre trattate grazie alla presenza di un nucleo flessibile.


"Con i bioingegneri, con cui collaboriamo - ha concluso Assetti - abbiamo osservato anche la biomeccanica dei dischi artificiali capaci, una volta impiantati, di assecondare gli stessi movimenti dei dischi vertebrali della colonna cervicale e assicurare al paziente, quindi, la ripresa di una vita normale".

Il disco cervicale artificiale è un dispositivo mobile progettato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1993 e utilizzato per sostituire chirurgicamente un disco intervertebrale cervicale affetto da patologia degenerativa. La protesi sostituisce il disco in tutte le sue funzioni, proteggendo i dischi intervertebrali dei livelli adiacenti dai sovraccarichi di stress che si possono verificare, invece, nel caso di un intervento chirurgico di tipo tradizionale. Sono passati 5 anni dai primi interventi in Europa e da allora oltre 5000 pazienti hanno risolto i loro problemi con questa nuova tecnologia.

ALGODISTROFIA, DECORSO E TRATTAMENTO

Si manifesta come un dolore molto forte, sproporzionato all'entità del trauma e apparentemente inspiegabile, che colpisce i piedi e più raramente le mani.

A scatenare questa reazione esagerata basta un trauma come una frattura, una distorsione o una contusione o anche un intervento chirurgico, non necessariamente gravi o seguiti da complicazioni.

Un altro nome per l'algodistrofia è anche distrofia simpatica riflessa.

Da questo si capisce in parte il motivo del disturbo: tutto avviene perchè il sistema nervoso autonomo (simpatico) reagisce al dolore a livello locale in modo autonomo e sproporzionato causando anche dei disturbi vascolari a tissutali.

Da questi disturbi derivano i sintomi che consistono in un dolore molto forte, continuo ed intollerabile, purtroppo anche resistente ai farmaci. La parte interessata si gonfia e diventa pallida e fredda, anche se il paziente avverte un forte bruciore. Non si riesce ad infilare il piede nella scarpa e poggiare la pianta a terra scatena i sintomi. La stampella può essere d'aiuto ma si riescono a fare pochi passi. I dolori continuano tutta la notte e al mattino quando si cerca di mettere il piede a terra si scatenano sensazioni di scossa elettrica e formicolii. Per questo si pense di rivolgersi a specialisti neurologi e vascolari, ma gli esami non mostrano alterazioni significative

Infatti le radiografie risultano inutili perchè la frattura è ricomposta e anche in caso di traumi diversi o distorsioni il danno risulta guarito.

Dopo alcune settimane dalla comparsa del dolore i tessuti cominciano ad alterarsi, la pelle diventa sottile e atrofica, le articolazioni si irrigidiscono e alle radiografie di controllo compare localmente una grave osteoporosi.

Il lato positivo è che l'algodistrofia scompare così misteriosamente come è arrivata, senza invalidità o danni permanenti. Perchè il problema si risolva tuttavia ci vogliono circa sei mesi e in questo tempo non bisogna rassegnarsi al dolore ma combatterlo al meglio per spezzare il circolo vizioso che si instaura. Infatti il disturbo viene innescato e sostenuto dal dolore attraverso un circuito riflesso che coinvolge i recettori del dolore, le fibre nervose simpatiche e la muscolatura dei vasi capillari. 

Le terapie devono quindi essere rivolte alla soppressione sintomatica del dolore.
I farmaci più efficaci sono i blocchi anestetici dei tronchi nervosi periferici e i blocchi dei gangli simpatici. Sono iniezioni di anestetici locali che devono essere eseguite da anestesisti esperti o presso un centro di terapia del dolore. Inoltre bisogna combattere la rigidità articolare e l'osteoporosi con la fisioterapia.
 I farmaci antidepressivi fanno parte della terapia e sono mirati ad annullare la componente affettiva ed emotiva del dolore.

Foto: ALGODISTROFIA, DECORSO E TRATTAMENTO

Si manifesta come un dolore molto forte, sproporzionato all'entità del trauma e apparentemente inspiegabile, che colpisce i piedi e più raramente le mani.
A scatenare questa reazione esagerata basta un trauma come una frattura, una distorsione o una contusione o anche un intervento chirurgico, non necessariamente gravi o seguiti da complicazioni.
Un altro nome per l'algodistrofia è anche distrofia simpatica riflessa.
Da questo si capisce in parte il motivo del disturbo: tutto avviene perchè il sistema nervoso autonomo (simpatico) reagisce al dolore a livello locale in modo autonomo e sproporzionato causando anche dei disturbi vascolari a tissutali.
Da questi disturbi derivano i sintomi che consistono in un dolore molto forte, continuo ed intollerabile, purtroppo anche resistente ai farmaci. La parte interessata si gonfia e diventa pallida e fredda, anche se il paziente avverte un forte bruciore. Non si riesce ad infilare il piede nella scarpa e poggiare la pianta a terra scatena i sintomi. La stampella può essere d'aiuto ma si riescono a fare pochi passi. I dolori continuano tutta la notte e al mattino quando si cerca di mettere il piede a terra si scatenano sensazioni di scossa elettrica e formicolii. Per questo si pense di rivolgersi a specialisti neurologi e vascolari, ma gli esami non mostrano alterazioni significative. 
Infatti le radiografie risultano inutili perchè la frattura è ricomposta e anche in caso di traumi diversi o distorsioni il danno risulta guarito.
Dopo alcune settimane dalla comparsa del dolore i tessuti cominciano ad alterarsi, la pelle diventa sottile e atrofica, le articolazioni si irrigidiscono e alle radiografie di controllo compare localmente una grave osteoporosi.
Il lato positivo è che l'algodistrofia scompare così misteriosamente come è arrivata, senza invalidità o danni permanenti. Perchè il problema si risolva tuttavia ci vogliono circa sei mesi e in questo tempo non bisogna rassegnarsi al dolore ma combatterlo al meglio per spezzare il circolo vizioso che si instaura. Infatti il disturbo viene innescato e sostenuto dal dolore attraverso un circuito riflesso che coinvolge i recettori del dolore, le fibre nervose simpatiche e la muscolatura dei vasi capillari. Le terapie devono quindi essere rivolte alla soppressione sintomatica del dolore.
I farmaci più efficaci sono i blocchi anestetici dei tronchi nervosi periferici e i blocchi dei gangli simpatici. Sono iniezioni di anestetici locali che devono essere eseguite da anestesisti esperti o presso un centro di terapia del dolore. Inoltre bisogna combattere la rigidità articolare e l'osteoporosi con la fisioterapia. I farmaci antidepressivi fanno parte della terapia e sono mirati ad annullare la componente affettiva ed emotiva del dolore.

PERICOLO TACCHI ALTI PER MUSCOLI E TENDINI

Ricerca mette in guardia sui rischi per la salute dovuti ai tacchi alti

Sono certamente molto sexy e assolutamente adatti a una serata elegante, ma i tacchi a spillo rischiano di compromettere seriamente la salute dei piedi delle signore che li indossano.

Una ricerca condotta in collaborazione fra Manchester Metropolitan University e Università di Vienna punta il dito contro uno degli accessori preferiti dalle donne di tutto il mondo, sostenendo che indossare tacchi alti per periodi di tempo prolungati possa causare un accorciamento delle fibre muscolari e un ispessimento del tendine d'Achille.

La ricerca, firmata dal prof. Marco Narici e dal dottorando Robert Csapo, è stata pubblicata sul Journal of Experimental Biology e ha analizzato 80 donne fra i 20 e i 50 anni che indossavano abitualmente tacchi alti almeno cinque centimetri.


Le volontarie sono state sottoposte a una serie di accertamenti, fra cui risonanze magnetiche ed esami agli ultrasuoni, gli stessi test utilizzati per verificare le condizioni di un secondo gruppo di donne che aveva dichiarato di non indossare i tacchi a spillo, ma scarpe basse. Mettendo a confronto i dati emersi, i ricercatori hanno potuto stabilire nelle donne che indossavano abitualmente i tacchi una riduzione del 13 per cento delle fibre muscolari del polpaccio e un ispessimento del tendine di Achille.


Nelle parole del prof. Narici, si intuisce il meccanismo fisico che porta le donne a lamentarsi spesso per i dolori ai piedi e alle gambe: “il tendine cerca di compensare l’accorciamento delle fibre muscolari del polpaccio, consentendo alle amanti dei tacchi di camminare in maniera ottimale, ma provocando loro, però, del disagio. Disagio che si acutizza quando indossano le scarpe basse perché, così ispessito, non riesce ad allungarsi a sufficienza”.


Inoltre, questo di tipo di calzatura aumenta in modo esponenziale, i rischi di soffrire del doloroso neuroma di Civinini-Morton, che prende il nome dai medici che lo scoprirono nell'Ottocento: Filippo Civinini, Thomas e Dudley Morton.
Questa sindrome comporta l'aumento di volume di un nervo sensitivo interdigitale, normalmente quello passante per il terzo spazio intermetatarsale, causato da uno stimolo irritativo cronico di natura meccanica.
Questo stimolo meccanico, derivante dall'uso di tacchi alti, provoca la crescita di tessuto cicatriziale fibroso intorno al nervo stesso, prima della sua biforcazione alla radice delle dita.
La sindrome di Civinini-Morton provoca dolore intenso sotto la pianta del piede, che poi si irradia fra le dita e si acuisce col movimento del piede: questa patologia è classificabile tra le neuropatie degenerative su base meccanica ed è indotta dall'uso eccessivo di scarpe non adatte al normale funzionamento dei nostri piedi, come accade con i tacchi a spillo.


Il consiglio dei medici è quindi di non utilizzare in maniera esclusiva le scarpe con i tacchi alti, ma al contrario di usare prevalentemente quelle più basse e comode, lasciando le prime per serate le particolari, scongiurando così dolori e danni fisici gravi.

lunedì 29 dicembre 2014

IL NUCLEO CEREBRALE CHE FISSA L'ATTENZIONE VISIVA

il Pulvinar è un nucleo talamico ed è strettamente connesso al sistema visivo, in questo articolo che condivido, si parla del pulvinar come filtro di attenzione visiva.
Pensando da un punto di vista multidisciplinare, oltre a quanto citato nell'articolo, quali sono le implicazioni con il processo decisionale degli arbitri durante una partita o il piazzamento e spostamento a tempo di un giocatore durante una partita. Utile anche, non di meno, con il legame con i DSA (disturbi specifici dell''apprendimento).
Ecco perché il training visivo può ottimizzare tale processo intervenendo nel miglioramento delle capacità recettivo-motorie dell'atleta
buona lettura a tutti dal gruppo di clinica visuo-posturale
https://www.facebook.com/groups/1406450029572791/

Dal testo:

I risultati dei test hanno mostrato che l’attenzione filtra sia le informazioni relative alla posizione sia quelle relative alle caratteristiche intrinseche degli stimoli visivi: la posizione e l'orientamento degli stimoli salienti a cui il soggetto prestava attenzione risultavano codificati con grande precisione, mentre per i fattori di distrazione non emergeva alcuna codifica.
Il risultato indica quindi che il pulvinar è coinvolto nel filtrare l’informazione visiva risultati dei test hanno mostrato che l’attenzione filtra sia le informazioni relative alla posizione sia quelle relative alle caratteristiche intrinseche degli stimoli visivi: la posizione e l'orientamento degli stimoli salienti a cui il soggetto prestava attenzione risultavano codificati con grande precisione, mentre per i fattori di distrazione non emergeva alcuna codifica.
Il risultato indica quindi che il pulvinar è coinvolto nel filtrare l’informazione visiva "di fondo", aiutando a mantenere la nostra attenzione sugli elementi rilevanti ai fini del comportamento.


L'ALLUCE VALGO E TUTTE LE TECNICHE PER CORREGGERLO

Introduzione

L'alluce valgo è quella deformità caratterizzata dalla deviazione dell'articolazione metatarso-falangea del 1° dito verso le altre dita dei piedi, con angolo superiore a 8°.
Questo problema non è solo di carattere estetico, in quanto spesso provoca dolori, anche sotto al pianta del piede, a chi ne soffre, costringendo il soggetto a indossare apparecchiature correttive.

Cause

L'alluce valgo può essere primario o congenito, ma è più frequente che si manifesti per cause scatenanti: tra esse troviamo
  • l'uso di scarpe inadatte, come quelle con i tacchi a spillo, strette in punta e larghe in corrispondenza delle teste metatarsali, che favoriscono l'insorgere della deformazione.
  • ormonali che si verificano in gravidanza e nel periodo post-menopausa e provocano un allentamento dei legamenti nella regione metatarsale, con conseguente allargamento anomalo di quest'ultima. malattie reumatiche, come l'artrite reumatoide e la gotta
  • malattie genetiche con lassità legamentose (morbo di Marfan, sindrome di Down)
  • eventi traumatici per l'articolazione.

Opzioni Terapeutiche

Esistono varie opzioni terapeutiche, anche non chirurgiche, per correggere questa deformità.
Prima di scegliere una metodica d'intervento il medico specialista deve considerare con attenzione diversi parametri: l'età del paziente, le sue condizioni cliniche, con particolare attenzione ai sistemi vascolare, neurologico e metabolico, le esigenze legate alle calzature indossate e all'attività fisica e infine i parametri radiografici. 

La prevenzione dell'alluce valgo consiste nell'utilizzo di scarpe comode, con tacco basso e larghe in punta, e nell'evitare il sovrappeso.

Chirurgia

Gli interventi chirurgici più usati per “raddrizzare” l'alluce valgo intervenendo sulle ossa delle dita dei piedi sono:
  • Osteotomia di Scarf ,
  • Osteotomia di Austin, 
  • Osteotomia Percutanea sec. Bösch (P.O.D.),
  • Osteotomia di Reverdin-Green, 
  • Osteotomia della Base,
  • Artrodesi metatarsofalangea,
  • Osteotomia Sec. Akin della falange prossimale (associata o meno ad altre osteotomie del primo metatarsale),
  • Tecnica di Keller.
Generalmente è sufficiente effettuare un'anestesia locale della gamba (anestesia loco-regionale) e i tempi di recupero post-intervento sono molto rapidi.

OSTEOTOMIA DI SCARF

L'osteotomia di SCARF viene eseguita disegnando uno specifico disegno operatorio a Z e utilizzando poi un'appropriata sega oscillante, a livello del 1° metatarsale. Tale osteotomia è molto usata nel trattare l'alluce valgo, in quanto consente una correzione nei tre piani dello spazio della testa metatarsale e spesso è un'operazione definitiva. La tecnica SCARF corregge l'angolo intermetatarsale dislocando lateralmente la testa e rettifica l'angolo articolare ruotando opportunamente la superficie articolare. Laddove fosse necessario è anche possibile accorciare o allungare il metatarso e spostare la testa metatarsale verso il dorso o verso la pianta del piede.
Completano l'intervento due piccolissime viti di titanio che fissano la correzione operata con l'osteotomia. Non è infrequente che la tecnica di Scarf venga associata a un'osteotomia alla base della falange prossimale secondo Akin. Quest'ultima viene fissata con una cambretta in acciaio. 

OSTEOTOMIA DI AUSTIN (o CHEVRON)

Per l'osteotomia di Austin viene adoperata un'apposita sega oscillante all'altezza del collo del 1° metatarsale: il disegno operatorio è, in questo caso, a V ad apice distale e ciò conferisce già da sé una certa stabilità.
In pratica l'intervento consiste nel rimettere sui giusti “binari” il metatarso deviato: il chirurgo lo sposta nuovamente sui due piccoli ossicini, detti sesamoidi, che gli fanno da “guida”.
Dopo aver tagliato la testa del metatarso con due incisioni ad angolo di 60° tra loro e dopo aver rimosso la parte finale del metatarso stesso, quest'ultimo viene spostato in senso laterale e/o plantare, fissando l'osteotomia con una piccola vite.
Normalmente questa tecnica è usata per deviazioni da alluce valgo di media intensità ma, con opportuni accorgimenti, si può applicarla anche alle lesioni più gravi.
L'osteotomia di Austin consente una specie di incastro osseo che dà stabilità alla struttura articolare corretta e consente al paziente di appoggiare il piede operato a terra appena terminato l'effetto dell'anestesia operatoria.

OSTEOTOMIA PERCUTANEA SECONDO BÖSCH (P.O.D.)

Questa metodica è adatta a deviazioni di lieve e media entità, consentendo di operare con una minima invasività e una piccolissima cicatrice.
L'osteotomia sec. Bösch viene eseguita con un filo di metallo, dopo aver inciso a livello mediale la testa del primo metatarso. Successivamente la testa metatarsale viene spostata di lato e stabilizzata con un filo che fuoriesce dalla punta dell'alluce. Tale filo metallico viene rimosso un mese dopo l'operazione.
I vantaggi di questo intervento sono dati dalla piccola incisione percutanea con cui può essere realizzato, ma diversi pazienti mal sopportano il chiodo inserito per trenta-quaranta giorni nel loro alluce e, in alcuni casi, si può verificare rigidità articolare e fallimento dell'operazione per ritardato o viziato consolidamento osseo del metatarso.

OSTEOTOMIA DI REVERDIN-GREEN

Come nel caso della tecnica di Austin, l'osteotomia di Reverdin-Green si usa per correggere la deviazione del primo metatarsale: in questo caso, però, si interviene con un disegno operatorio leggermente diverso e si rimuove un cuneo osseo alla base mediale del 1°metatarso, orientando in modo più corretto anche la cartilagine articolare dell'alluce.
Anche per la tecnica di Reverdin-Green il metatarso inciso viene spostato lateralmente, riallineato e fissato con viti operatorie.

OSTEOTOMIA DELLA BASE

Questa tecnica è usata per i casi molto gravi di alluce valgo: il chirurgo incide verticalmente il primo metatarso deviato quasi completamente, lasciandone solo una piccola parte non incisa e rimuovendo uno “spicchio” dal primo metatarso. In questo modo si ruota e si riallinea l'alluce deviato, applicando una placca metallica e quattro viti nella sede operatoria per stabilizzare la correzione.
L'osteotomia della base dà risultati definitivi anche nelle patologie estreme di alluce valgo, ma comporta un decorso post-operatorio più lungo e difficile: bisogna attendere, infatti, a caricare il peso sul piede operato finché non si sia consolidato l'osso tagliato.

ARTRODESI METATARSOFALANGEA

Questa metodica è usata in quei pazienti che presentano una notevole compromissione della cartilagine articolare. Si interviene unendo chirurgicamente l'osso metatarsale con la prima falange, per ripristinare un carico corretto sul primo raggio e eliminare i dolori. L'artrodesi comporta, tuttavia, la perdita di flessibilità dell'alluce. Quest'ultimo dovrà essere fissato con attenzione dal chirurgo sia in senso sagittale che orizzontale. Effettuando l'artrodesi metatarsofalangea si dovrà cercare di ottenere l'uguale lunghezza tra il primo e il secondo raggio, cioè il c.d. piede quadrato.
Si potrà giungere a questo risultando tagliando l'osso più lungo, mentre, se il paziente è già stato sottoposto a interventi di osteotomia, si possono inserire innesti ossei. La fusione del metatarso con la falange si fissa, generalmente, con una vite assiale e un filo di Kirschner inserito trasversalmente.
Dopo l'operazione non è possibile caricare il peso sul piede per 45 giorni minimo, ma il periodo si allunga nel caso degli innesti ossei.
Questo intervento non è di predilezione, visto che comporta la perdita della possibilità di flettere l'alluce e ha un decorso post-operatorio più lungo di altre tecniche.

OSTEOTOMIA SEC. AKIN DELLA FALANGE PROSSIMALE

Questa tecnica consiste nel rimuovere un pezzo d'osso dalla falange vicina al metatarso dell'alluce, in maniera da raddrizzare l'alluce.

TECNICA DI KELLER

La tecnica di Keller è stata ideata nei primi anni del 900 ed è stata molto diffusa in passato.
Viene oggi poco praticata e le si preferiscono le osteotomie.
Consiste nella resezione della esostosi mediale del 1° metatarsale e della base della 1° falange, affidando poi il mantenimento della correzione alla sutura mediale della capsula articolare.
In pratica si asporta chirurgicamente la base della prima falange, accorciando il dito di un centimetro circa e, tuttavia, privandolo di un elemento necessario per garantire la flessione e la spinta dell'alluce.
Per questi motivi questa tecnica è sempre meno praticata e applicata solo in casi particolari, come quelli di soggetti anziani, o con molta artrosi o con insoddisfacenti tentativi chirurgici effettuati con altre metodiche.


L'alluce valgo può manifestarsi anche in bambini e adolescenti che hanno l'apparato osseo ancora in crescita: in questi casi si preferiscono i riallineamenti funzionali dell'alluce, intervenendo sui tessuti molli come le cartilagini, i tendini e la capsula articolare. Questo approccio è, però, temporaneo e consente solo di rimandare all'età adulta un'operazione di risoluzione definitiva del problema


IL PRE E POST-OPERATORIO

Prima di un intervento chirurgico di osteotomia per l'alluce valgo il paziente deve sottoporsi alle visite specialistiche e a una profilassi antitetanica.
La persona operata è normalmente dimessa nelle 24-48 ore successive all'intervento e gli viene prescritta una terapia di antidolorifici e antibiotici per qualche giorno, oltre a iniezioni di eparina a basso peso molecolare da fare per 25 giorni al fine di evitare complicanze vascolari.

La deambulazione del soggetto è possibile già subito dopo l'operazione grazie alla speciale calzatura “Talus”.

La prima medicazione avviene dopo 7 giorni, mentre dopo due settimane si tolgono i punti di sutura al paziente, che, nel frattempo, dovrà svolgere alcuni esercizi di mobilizzazione dell'alluce.

Dopo 35-40 giorni è prevista una radiografia e una visita di controllo, con contemporanea prescrizione di una scarpa comoda a pianta larga (ad es. calzature da ginnastica) da portare per ulteriori trenta giorni.

Infine è prevista un'altra visita di controllo a due mesi dall'operazione.

Foto: L'ALLUCE VALGO E TUTTE LE TECNICHE PER CORREGGERLO

L'alluce valgo è quella deformità caratterizzata dalla deviazione dell'articolazione metatarso-falangea del 1° dito verso le altre dita dei piedi, con angolo superiore a 8°. 
Questo problema non è solo di carattere estetico, in quanto spesso provoca dolori, anche sotto al pianta del piede, a chi ne soffre, costringendo il soggetto a indossare apparecchiature correttive.
L'alluce valgo può essere primario o congenito, ma è più frequente che si manifesti per cause scatenanti: tra esse troviamo l'uso di scarpe inadatte, come quelle con i tacchi a spillo, strette in punta e larghe in corrispondenza delle teste metatarsali, che favoriscono l'insorgere della deformazione.
ormonali che si verificano in gravidanza e nel periodo post-menopausa e provocano un allentamento dei legamenti nella regione metatarsale, con conseguente allargamento anomalo di quest'ultima. Altre cause di alluce valgo sono le malattie reumatiche, come l'artrite reumatoide e la gotta, le malattie genetiche con lassità legamentose (morbo di Marfan, sindrome di Down) e gli eventi traumatici per l'articolazione.
Esistono varie opzioni terapeutiche, anche non chirurgiche, per correggere questa deformità.
Prima di scegliere una metodica d'intervento il medico specialista deve considerare con attenzione diversi parametri: l'età del paziente, le sue condizioni cliniche, con particolare attenzione ai sistemi vascolare, neurologico e metabolico, le esigenze legate alle calzature indossate e all'attività fisica e infine i parametri radiografici. 
La prevenzione dell'alluce valgo consiste nell'utilizzo di scarpe comode, con tacco basso e larghe in punta, e nell'evitare il sovrappeso.
Gli interventi chirurgici più usati per “raddrizzare” l'alluce valgo intervenendo sulle ossa delle dita dei piedi sono: 
Osteotomia di Scarf ,
Osteotomia di Austin, 
Osteotomia Percutanea sec. Bösch (P.O.D.),
Osteotomia di Reverdin-Green, 
Osteotomia della Base,
Artrodesi metatarsofalangea,
Osteotomia Sec. Akin della falange prossimale (associata o meno ad altre osteotomie del primo metatarsale),
Tecnica di Keller.
Generalmente è sufficiente effettuare un'anestesia locale della gamba (anestesia loco-regionale) e i tempi di recupero post-intervento sono molto rapidi.
OSTEOTOMIA DI SCARF
L'osteotomia di SCARF viene eseguita disegnando uno specifico disegno operatorio a Z e utilizzando poi un'appropriata sega oscillante, a livello del 1° metatarsale. Tale osteotomia è molto usata nel trattare l'alluce valgo, in quanto consente una correzione nei tre piani dello spazio della testa metatarsale e spesso è un'operazione definitiva. La tecnica SCARF corregge l'angolo intermetatarsale dislocando lateralmente la testa e rettifica l'angolo articolare ruotando opportunamente la superficie articolare. Laddove fosse necessario è anche possibile accorciare o allungare il metatarso e spostare la testa metatarsale verso il dorso o verso la pianta del piede.
Completano l'intervento due piccolissime viti di titanio che fissano la correzione operata con l'osteotomia. Non è infrequente che la tecnica di Scarf venga associata a un'osteotomia alla base della falange prossimale secondo Akin. Quest'ultima viene fissata con una cambretta in acciaio. 
OSTEOTOMIA DI AUSTIN (o CHEVRON)
Per l'osteotomia di Austin viene adoperata un'apposita sega oscillante all'altezza del collo del 1° metatarsale: il disegno operatorio è, in questo caso, a V ad apice distale e ciò conferisce già da sé una certa stabilità. 
In pratica l'intervento consiste nel rimettere sui giusti “binari” il metatarso deviato: il chirurgo lo sposta nuovamente sui due piccoli ossicini, detti sesamoidi, che gli fanno da “guida”.
Dopo aver tagliato la testa del metatarso con due incisioni ad angolo di 60° tra loro e dopo aver rimosso la parte finale del metatarso stesso, quest'ultimo viene spostato in senso laterale e/o plantare, fissando l'osteotomia con una piccola vite.
Normalmente questa tecnica è usata per deviazioni da alluce valgo di media intensità ma, con opportuni accorgimenti, si può applicarla anche alle lesioni più gravi.
L'osteotomia di Austin consente una specie di incastro osseo che dà stabilità alla struttura articolare corretta e consente al paziente di appoggiare il piede operato a terra appena terminato l'effetto dell'anestesia operatoria.
OSTEOTOMIA PERCUTANEA SECONDO BÖSCH (P.O.D.)
Questa metodica è adatta a deviazioni di lieve e media entità, consentendo di operare con una minima invasività e una piccolissima cicatrice.
L'osteotomia sec. Bösch viene eseguita con un filo di metallo, dopo aver inciso a livello mediale la testa del primo metatarso. Successivamente la testa metatarsale viene spostata di lato e stabilizzata con un filo che fuoriesce dalla punta dell'alluce. Tale filo metallico viene rimosso un mese dopo l'operazione.
I vantaggi di questo intervento sono dati dalla piccola incisione percutanea con cui può essere realizzato, ma diversi pazienti mal sopportano il chiodo inserito per trenta-quaranta giorni nel loro alluce e, in alcuni casi, si può verificare rigidità articolare e fallimento dell'operazione per ritardato o viziato consolidamento osseo del metatarso.
OSTEOTOMIA DI REVERDIN-GREEN
Come nel caso della tecnica di Austin, l'osteotomia di Reverdin-Green si usa per correggere la deviazione del primo metatarsale: in questo caso, però, si interviene con un disegno operatorio leggermente diverso e si rimuove un cuneo osseo alla base mediale del 1°metatarso, orientando in modo più corretto anche la cartilagine articolare dell'alluce.
Anche per la tecnica di Reverdin-Green il metatarso inciso viene spostato lateralmente, riallineato e fissato con viti operatorie.
OSTEOTOMIA DELLA BASE
Questa tecnica è usata per i casi molto gravi di alluce valgo: il chirurgo incide verticalmente il primo metatarso deviato quasi completamente, lasciandone solo una piccola parte non incisa e rimuovendo uno “spicchio” dal primo metatarso. In questo modo si ruota e si riallinea l'alluce deviato, applicando una placca metallica e quattro viti nella sede operatoria per stabilizzare la correzione.
L'osteotomia della base dà risultati definitivi anche nelle patologie estreme di alluce valgo, ma comporta un decorso post-operatorio più lungo e difficile: bisogna attendere, infatti, a caricare il peso sul piede operato finché non si sia consolidato l'osso tagliato.
ARTRODESI METATARSOFALANGEA
Questa metodica è usata in quei pazienti che presentano una notevole compromissione della cartilagine articolare. Si interviene unendo chirurgicamente l'osso metatarsale con la prima falange, per ripristinare un carico corretto sul primo raggio e eliminare i dolori. L'artrodesi comporta, tuttavia, la perdita di flessibilità dell'alluce. Quest'ultimo dovrà essere fissato con attenzione dal chirurgo sia in senso sagittale che orizzontale. Effettuando l'artrodesi metatarsofalangea si dovrà cercare di ottenere l'uguale lunghezza tra il primo e il secondo raggio, cioè il c.d. piede quadrato.
Si potrà giungere a questo risultando tagliando l'osso più lungo, mentre, se il paziente è già stato sottoposto a interventi di osteotomia, si possono inserire innesti ossei. La fusione del metatarso con la falange si fissa, generalmente, con una vite assiale e un filo di Kirschner inserito trasversalmente.
Dopo l'operazione non è possibile caricare il peso sul piede per 45 giorni minimo, ma il periodo si allunga nel caso degli innesti ossei.
Questo intervento non è di predilezione, visto che comporta la perdita della possibilità di flettere l'alluce e ha un decorso post-operatorio più lungo di altre tecniche.
OSTEOTOMIA SEC. AKIN DELLA FALANGE PROSSIMALE
Questa tecnica consiste nel rimuovere un pezzo d'osso dalla falange vicina al metatarso dell'alluce, in maniera da riaddrizzare l'alluce.
TECNICA DI KELLER
La tecnica di Keller è stata ideata nei primi anni del 900 ed è stata molto diffusa in passato.
Viene oggi poco praticata e le si preferiscono le osteotomie.
Consiste nella resezione della esostosi mediale del 1° metatarsale e della base della 1° falange, affidando poi il mantenimento della correzione alla sutura mediale della capsula articolare. 
In pratica si asporta chirurgicamente la base della prima falange, accorciando il dito di un centimetro circa e, tuttavia, privandolo di un elemento necessario per garantire la flessione e la spinta dell'alluce.
Per questi motivi questa tecnica è sempre meno praticata e applicata solo in casi particolari, come quelli di soggetti anziani, o con molta artrosi o con insoddisfacenti tentativi chirurgici effettuati con altre metodiche.
L'alluce valgo può manifestarsi anche in bambini e adolescenti che hanno l'apparato osseo ancora in crescita: in questi casi si preferiscono i riallineamenti funzionali dell'alluce, intervenendo sui tessuti molli come le cartilagini, i tendini e la capsula articolare. Questo approccio è, però, temporaneo e consente solo di rimandare all'età adulta un'operazione di risoluzione definitiva del problema
IL PRE E POST-OPERATORIO
Prima di un intervento chirurgico di osteotomia per l'alluce valgo il paziente deve sottoporsi alle visite specialistiche e a una profilassi antitetanica.
La persona operata è normalmente dimessa nelle 24-48 ore successive all'intervento e gli viene prescritta una terapia di antidolorifici e antibiotici per qualche giorno, oltre a iniezioni di eparina a basso peso molecolare da fare per 25 giorni al fine di evitare complicanze vascolari.
La deambulazione del soggetto è possibile già subito dopo l'operazione grazie alla speciale calzatura “Talus”.
La prima medicazione avviene dopo 7 giorni, mentre dopo due settimane si tolgono i punti di sutura al paziente, che, nel frattempo, dovrà svolgere alcuni esercizi di mobilizzazione dell'alluce.
Dopo 35-40 giorni è prevista una radiografia e una visita di controllo, con contemporanea prescrizione di una scarpa comoda a pianta larga (ad es. calzature da ginnastica) da portare per ulteriori trenta giorni.
Infine è prevista un'altra visita di controllo a due mesi dall'operazione.

Questo può essere uno dei motivi per cui le donne vengono colpite più degli uomini da questa patologia (il rapporto è di 10 a 1). Un'altra ragione della prevalenza dell'alluce valgo nel sesso femminile sono gli squilibri

I PROBLEMI DEL GINOCCHIO. CURE E NOVITA'


Introduzione

Il ginocchio è la principale vittima degli incidenti. E poi ci sono gli anziani e i problemi legati all’artrosi, senza dimenticare che le persone avanti con gli anni spesso rimangono vittime di incidenti. Abbiamo sentito il professore Aglietti, Presidente della Società Internazionale della Chirurgia del Ginocchio e Direttore della I Clinica Ortopedica dell’ Università di Firenze.

Le ultime ricerche? 

Nel caso della lesione del legamento crociato anteriore si procede, con l’artroscopia, alla ricostruzione a due fasci. Ecco la novità: fino ad ora si ricostruiva un solo fascio. Il crociato ha due fasci di legamenti e quindi adesso si ritiene corretto procedere alla ricostruzione di tutti e due. Altra importante novità è rappresentata dallo studio dei pazienti che hanno subito un danno al ginocchio. Si collocano sensori elettromagnetici, collegati ad un computer sul ginocchio. Questi sensori, consentono di valutare la cinematica del ginocchio e quindi di studiare meglio il danno. Per quanto riguarda la chirurgia protesica la novità è che adesso il taglio del ginocchio per collocare la protesi è sempre più piccola. Grande l’aiuto che viene dal navigatore che può aiutare, con la sua sofisticata strumentazione mutuata dai simulatori spaziali, il chirurgo nel momento dell’operazione. 

Ma perché così tanta attenzione verso il ginocchio? 

Basterebbe solo un’espressione per rispondere alla domanda. Siamo davanti ad un’epidemia, quella del calcetto. Gli infortunati crescono giorno dopo giorno. E poi, gli incidenti della strada soprattutto quelli che vedono vittime i motociclisti, un po’ meno gli automobilisti. Il problema più importante rimane quello degli anziani che vedono il loro ginocchio obiettivo privilegiato dell’artrosi. 

Andiamo per ordine. Cominciamo dal calcetto. 

Da alcuni anni c’è il boom del calcetto. I calciatori dilettanti credono che basti mettersi in una tuta sportiva, calzare un paio di scarpe con i tacchetti e mettersi a dare calci ad un pallone. Senza preparazione e senza tenere conto dei fattori ambientali. Ecco i motivi per cui l’incidente è in agguato: si gioca la sera, anche se è inverno, quando fa freddo o è umido e questi sono fattori che incidono sull’organismo che è messo in condizioni di non reagire. Giocare di sera in qualunque stagione vuol dire arrivare sul campo dopo una giornata di lavoro, magari molto stressante, magari dominata da discussioni con capi o colleghi. L’organismo è già debilitato. Solitamente gioca a calcetto chi tanto giovane non è: il giovane preferisce giocare in squadre dilettantistiche ma su campi normali. Di solito si va dai trenta ai cinquant’anni e si tratta, in maggioranza, di persone che non hanno mai giocato al calcio e quindi non hanno l’organismo predisposto. Il fattore dominante è la mancanza di allenamento: senza un’adeguata preparazione non si può affrontare una competizione anche se amichevole. Solo nel calcetto si può pensare di praticare uno sport senza un allenamento. Altro elemento è che si gioca su un terreno artificiale, duro, che certamente non favorisce l’attenuazione dei colpi da parte dell’apparato osteo-muscolare. Anzi. Infine, si gioca con scarpe che hanno tredici tacchetti. Questo vuol dire che il piede rimane fermo sul terreno e il ginocchio gira. Tutti questi elementi influiscono in modo preponderante sul ginocchio che sopporta i colpi, le torsioni dell’arto inferiore. A risentirne sono i legamenti, in modo particolare il crociato anteriore e il menisco. I danni maggiori li registriamo nei giocatori intorno ai 30 anni, che non si sono mai allenati. 

Ma è vero che sempre più donne finiscono per subire un danno al ginocchio durante un’attività sportiva? 

Questa è una novità. Certamente il numero delle donne che fa sport è inferiore a quello degli uomini ma se andiamo a vedere l’incidenza degli infortuni al ginocchio con danni ai legamenti e al menisco troviamo sempre più donne. Bisogna ricordare che in caso di un incidente la donna subisce un danno al ginocchio quattro volte di più di un uomo. La donna, infatti, abitualmente si muove in maniera diversa dall’uomo. E poi, quando cade a terra, si comporta in modo diverso dal maschio. Mi spiego. In un’elevazione l’uomo ricade quasi sedendo e cioè assorbendo l’urto, la donna da un’elevazione cade con il ginocchio esteso. E poi ci sono fattori ormonali e anche anatomici: ad esempio, i legamenti crociati delle donne sono più piccoli rispetto a quelli dell’uomo. Per avere un quadro preciso basti pensare che ci sono degli sport come la pallamano che sono propri delle donne. Non dobbiamo dimenticare che sono sempre più diffusi la pallavolo e il basket fra il gentil sesso. 

E’ il ginocchio nell’anziano un organo bersaglio. Perché? 

Si è allungata la vita media. Un tempo c’era l’artrosi ma gli anziani non vivevano così a lungo e non si vedevano le influenze di questa malattia sul ginocchio. Adesso si vive a lungo e l’artrosi accompagna i capelli bianchi per qualche decennio. L’artrosi è la malattia più frequente fra quelle reumatiche e colpisce in modo notevole il ginocchio. In pratica questa patologia “sforma” il ginocchio, lo devia provocando dolore, deformità, gonfiore. E il paziente non riesce più a piegarlo. Non cammina più. C’è tanta gente che per colpa dell’artrosi al ginocchio rimane prigioniera in casa. A soffrirne sono di più le donne, il doppio degli uomini. L’età di insorgenza è intorno ai 60 anni. 

Ma è un pianeta affollato quello dell’artrosi al ginocchio? 

Su cento anziani, 70 soffrono proprio di questa patologia al ginocchio. La metà di questi necessita dell’intervento chirurgico. E di questi 35, in 18 ricorrono alle protesi o all’artroscopia.

Qualche consiglio agli anziani. 

Non portare avanti la malattia dell’artrosi senza rivolgersi ad uno specialista per troppo tempo. L’anziano purtroppo ha una regola, sbagliata: resistere, resistere, resistere. E poi sentire un medico. Attribuisce la patologia all’ineluttabile trascorrere degli anni. Altro errore da evitare è credere che il calore combatta la malattia: è il freddo che può dare vantaggio. Infine, è sbagliato pensare che lo stare fermi aiuti. 

E passiamo al ginocchio che rimane vittima di un incidente della strada. 

E’ il motociclista a rischiare di più. Correttamente con il casco ha protetto la testa , con le apposite giacche imbottite da moto le spalle e i gomiti ma non fa niente per il ginocchio. Su cento motociclisti che cadono dalla moto, in 90 subiscono una frattura, in maggioranza della rotula, ma è alto anche il numero delle fratture del femore nella parte sovracondiloidea e del piatto tibiale. Il problema è che il motociclista tocca subito terra e quindi il primo impatto è quello del ginocchio. Quando un motociclista impatta contro un’altra automobile si lesiona il crociato posteriore mentre se cade dalla moto si frattura, prevalentemente il ginocchio. L’automobilista, per quanto riguarda il ginocchio è più protetto. Anche se c’è sempre in agguato il cosiddetto trauma da cruscotto che mette in crisi proprio il ginocchio. Per il resto le cinture di sicurezza quando vengono correttamente usate danno protezione. In sintesi, su cento incidenti che fanno registrare un danno al ginocchio, 90 hanno per vittime i motociclisti, il resto gli automobilisti. 

Ma non c’è il robot? 

E’ finita l’era del robot. Aveva fatto tanto ben sperare ma adesso è stato soppiantato dal navigatore. Si parla tanto di trapianti. Anche in merito al ginocchio?
In modo particolare del trapianto dei legamenti. Adesso si possono acquistare da un’apposita “banca”, un tempo potevano essere presi solo dallo stesso paziente. Si tratta di legamenti provenienti da cadaveri. Qualche paziente rivela perplessità davanti alla spiegazione del chirurgo, teme di poter ricevere tramite il legamento una malattia proveniente dal donatore. Il rischio in verità è veramente minimo. Per un certo tempo si è ricorso ai legamenti artificiale utilizzando il dracon, le fibre di carbonio e il poliestere. Ma adesso non si adoperano più. C’è da aggiungere che si effettuano trapianti di cartilagine prelevata dallo stesso paziente, coltivata in vitro con l’ingegneria tissutale e poi reimpiantata nello stesso paziente. A questo proposito il mondo della ricerca guarda con molta attenzione alle cellule staminali.

BASTANO 3 ORE AL GIORNO DI PC PER ROVINARE LA SCHIENA

Ecco gli accorgimenti da adottare per evitare di mettere a rischio il benessere di collo, schiena, mani e braccia. 
Secondo due studi statunitensi coordinati da Fredric Gerr e Michele Marcus, epidemiologi presso la Rollins School of Public Health dell'Emory University e pubblicati dalla rivista 'American Journal of Industrial Medicine' bastano 3 ore al giorno di lavoro davanti al computer per aumentare fino a quasi il 60% il rischio di 'indolenzimenti' e i problemi osseomuscolari.

Mal di schiena, mal di collo, mal di testa, stanchezza. Sono solo alcuni dei malanni causati dal “rapporto” con il nostro computer. A tale proposito gli esperti parlano di “ergonomia della postazione e dell'ambiente di lavoro”. Per evitare di incorrere in questi fastidiosi acciacchi è importante infatti lavorare con una corretta postura e controllare che le nostre abitudini siano corrette ed il luogo di lavoro rispettoso delle regole dell'ergonomia.


Una delle cause delle sofferenze alla colonna vertebrale è lo stare seduti troppo a lungo con una posizione fissa: infatti quando non ci si muove si ostacola il ricambio nutritivo dei dischi vertebrali e questo può, causare mal di testa, stanchezza o mal di schiena. Un primo consiglio è dunque quello di interrompere l'attività davanti allo schermo ogni 45/50 minuti per fare una breve passeggiata.
Alzarsi e sgranchirsi almeno una volta o due ogni ora passata lavorando al computer può aiutare a distendere i muscoli. Può sicuramente essere utile alternare e distribuire in maniera migliore i compiti svolti durante il giorno, se alcuni di questi prevedono la necessità di stare in piedi programmando le interruzioni lungo l'arco della giornata. Un toccasana sarebbe quello di stirarsi o fare degli esercizi per migliorare la circolazione. 

E' consigliabile inoltre cambiare ogni tanto la sistemazione di sedia, schienale e tastiera, a patto che però si rimanga nell'ambito delle posizioni ergonomiche.

La posizione corretta da assumere non è, come si può immaginare, quella della schiena dritta, cioè con la schiena verticale a 90°, ma è bene dotarsi di una sedia con uno schienale che consenta una leggera inclinazione oltre che essere girevole e regolabile. In altre parole le sedie devono essere di tipo ergonomico, vale a dire devono essere di quelle studiate espressamente per salvaguardare la salute.


La posizione più corretta per il computer non è dunque quella classica della dattilografe. La posizione oggi ritenuta più corretta è invece quella assunta sulle poltrone che consentono di inclinare leggermente all'indietro di altri 10-15 gradi oltre ai 90° della posizione dritta. Secondo gli esperti americani la sedia ideale e' quella dotata di braccioli e fatta in modo da poter tenere le braccia distese ad un angolo di almeno 121 gradi. L'ideale, inoltre, sarebbe avere anche un supporto lombare ben sagomato, o un cuscino, in quanto aumenta il confort della seduta e riduce la stanchezza di tutto il corpo in quanto consente di adattare lo schienale alla schiena. Se è possibile occorre regolare lo schienale al fine di adattare il supporto al fondo della schiena. Quanto all'altezza della sedia essa deve essere tale da consentire alle gambe di formare un angolo di 90°. Il tavolo non deve avere un'altezza regolare: né troppo alto né troppo basso.

Per chi usa la tastiera per ore è consigliabile sceglierne una di tipo ergonomico, per intendersi quelle con la forma bombata. Non si tratta infatti di tastiere disegnate per stupire gli amanti della fantascienza, hanno bensì l'importante funzione di ridurre quei movimenti della mano che, se ripetuti all'eccesso, possono portare infiammazioni ai tendini e ai muscoli. Secondo i due studi americani la tastiera va tenuta a piu' di 7 cm dal bordo della scrivania senza 'mai' portare i gomiti al di sopra della linea che passa per il tasto 'J' della tastiera.

La poltroncina non deve essere troppo profonda: ciò infatti può creare una pressione dietro le ginocchia che interferisce con la circolazione delle gambe. Lo schienale dovrebbe essere regolabile di modo da consentire di sedersi appoggiati allo schienale pur avendo le ginocchia libere dalla seduta. A tal fine lo stesso supporto lombare può aiutare a posizionare più in avanti sulla sedia, oppure può essere utile usare una sedia con una seduta più corta.


Le ginocchia devono all'incirca avere un'altezza che coincida con i fianchi e devono essere appoggiate in maniera uniforme. La pressione che una posizione molto diversa da questa esercita sulle cosce può risultare dannosa, per cui è bene che l'altezza della sedia sia ad un livello tale che le cosce siano orizzontali. Nel regolare la sedia occorre ovviamente che i piedi appoggino completamente a terra. Ciò serve per evitare che si verifichi la riduzione della circolazione del sangue nelle gambe, oltre che dolori alla schiena stanchezza.

Se la sedia non può essere regolata né cambiata, o se l'altezza della persona non consente l'appoggio, occorre usare un poggiapiedi. 

Nelle postazioni di lavoro di alcuni uffici capita addirittura di non disporre di sufficiente spazio per gambe, piedi o cosce. Ciò costringe spesso a dover mettere il corpo di traverso per poter lavorare. E' inutile sottolineare come una posizione del genere tenuta per ore e ore risulti faticosa e fastidiosa per le gambe, per la schiena e per le braccia. A tal fine può essere utile usare un porta tastiera regolabile in altezza per avere più spazio per le gambe. E' anche possibile abbassare la sedia o alzare il piano di lavoro, a patto che però si rispettino le regole già descritte per la schiena e le braccia, oltre che ovviamente togliere tutti quegli oggetti che rubano spazio alle gambe.

Gli ultimi due accorgimenti riguardano due oggetti che inevitabilmente ci finiscono tra le mani ma che è bene tenerli nel modo migliore per evitare: telefono e mouse. 


Il telefono non va mai tenuto sulla spalla mentre si parla 

Per quanto riguarda il mouse le regole ergonomiche vogliono che sia usato senza mai fare il 'gioco di polso' mentre lo si muove: la mano deve rimanere perfettamente in linea con il braccio e il 'mouse' deve essere spostato muovendo il braccio non la mano.